TABAGISMO: COME INGANNA LA NOSTRA MENTE?

“Il dottor Giuseppe Fatiga si occupa di disassuefazione dal fumo con agopuntura nel suo studio di Via Monte Santo 6 a Torino. Se vuoi smettere di fumare chiamalo al 3809043007

RICONOSCERE I SUBDOLI INGANNI DEL TABAGISMO

Da circa 22 anni aiuto coloro che vogliono smettere di fumare attraverso l’agopuntura e l’auricoloterapia. Il confronto quotidiano con migliaia di fumatori mi ha permesso di comprendere in profondità i meccanismi attraverso cui il fumo di sigaretta inganna la mente degli individui, portandoli a sviluppare convinzioni del tutto infondate, che perpetuano nel tempo la dipendenza. Ho deciso così di sviluppare un metodo per aiutare ogni fumatore, anche il più accanito, a smettere da solo: questo metodo è esposto in un libro che ho recentemente pubblicato e che s’intitola “Mai più schiavi della sigaretta. Smettere di fumare con l’aiuto della scienza”. Alcuni dei contenuti che sono discussi in questa pagina sono tratti proprio dal mio libro, ed invito pertanto chi volesse approfondire tali temi a leggerlo integralmente (il libro si trova anche nel mio studio).

Ma veniamo al dunque:  come fa il fumo di sigaretta a ingannare la nostra mente, facendoci credere di averne in qualche modo bisogno? Riconoscere questi inganni può aiutarti a smettere di fumare anche da solo. Inoltre, la consapevolezza può aiutarti a prevenire le future ricadute una volta che avrai smesso di fumare.  Per prima cosa occorre distinguere le due componenti della dipendenza tabagica: quella fisica e quella psicologica.

DIPENDENZA FISICA DALLA NICOTINA

E’ molto difficile scorporare gli aspetti fisici e quelli psicologici della dipendenza dal fumo di sigaretta, poiché essi sono strettamente intrecciati e s’influenzano vicendevolmente. Certamente la nicotina esercita profondi effetti sul funzionamento del cervello, sia di tipo eccitatorio, incrementando l’energia, il tono dell’umore e la capacità di concentrazione, sia di tipo inibitorio, inducendo uno stato di rilassamento e riducendo i livelli di tensione, stress ed ansia. Questi effetti sono sostanzialmente prodotti dal legame della nicotina con specifici “recettori” situati in molte zone del cervello, e possiedono la caratteristica di essere dose-dipendenti, proporzionali cioè al numero di sigarette fumate; quando il corpo viene bruscamente privato di nicotina, non solo tali effetti scompaiono, ma si generano persino effetti opposti, consistenti in apatia, abulia e depressione da un lato – conseguenti allo spegnimento degli effetti eccitatori- ed ansia, tensione, nervosismo ed irritabilità quale conseguenza della cessazione degli effetti inibitori. Tale condizione è nota a tutti come sindrome da astinenza (vedi pagina). E’ quindi intuitivo che maggiore è il numero di sigarette fumate, maggiore è il livello di dipendenza fisica, ma anche la distanza temporale che intercorre tra la prima sigaretta fumata al mattino e l’ultima sigaretta fumata il giorno precedente ci indica la gravità di tale dipendenza: infatti nei casi più seri, la sindrome di astinenza inizia a manifestarsi dopo poche ore, necessitando quindi di ridurre al minimo la “finestra” temporale senza sigarette. Anche la durata massima dei tentativi spontanei di disassuefazione ci indica l’entità della dipendenza fisica: vi sono forti fumatori che non sono mai riusciti ad andare oltre le 24-48 ore! Un terzo fattore ci indica una forte dipendenza fisica dalla nicotina: il fatto di continuare a fumare anche quando ci si trova in uno stato di malattia, ad esempio una bronchite.

DIPENDENZA PSICOLOGICA

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La dipendenza psicologica possiede alcune caratteristiche che permettono di distinguerla da quella fisica, e che è possibile individuare dopo 2 settimane dalla cessazione del fumo, quando cioè la sindrome da astinenza dovrebbe essere quasi terminata. La ricerca irrefrenabile ed irresistibile della sigaretta – chiamata craving– è una di queste (sicuramente più importante nelle prime 2 settimane di sospensione, per la presenza della componente fisica) ma presente in modo più subdolo anche dopo tale periodo, sotto forma di pensieri ed immagini ricorrenti incentrate sulla sigaretta, o sulle situazioni in cui essa veniva fumata, o consistente in un’estenuante lotta contro se stessi, oppure in una sensazione di profondo vuoto emotivo, o ancora nella ricerca di situazioni che sostituiscano le abitudini e i “rituali” che scandivano e riempivano le giornate. In particolare la mancanza della gratificazione “orale” è uno degli elementi distintivi della dipendenza psicologica, che ha peraltro portato la psicoanalisi ad interessarsene (Freud riteneva che alla base del disturbo vi fosse una regressione alla fase orale dello sviluppo psicosessuale dell’individuo).

 

RITUALI E ABITUDINI

 

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I rituali e le abitudini che vertono intorno alla sigaretta sono pertanto fondamentali. Spesso è possibile individuare molte di queste situazioni: ritrovi con gli amici, colleghi o partners, caffè prima o dopo la sigarette (tra l’altro l’effetto eccitatorio delle sostanze contenute nelle due droghe si somma in questo caso), durante le occasioni di ristoro, durante il consumo di “junk food” (“cibi spazzatura”) o di dolci, nelle pause lavorative, o in precisi momenti della giornata, dove la tensione e lo stress raggiungono i livelli più alti o in cui, paradossalmente, ci si rilassa.

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La moderna psicologia cognitivo-comportamentale ha da tempo compreso che tali rituali rappresentano dei condizionamenti, altrimenti definiti rinforzi autoincentivanti, attraverso cui l’esperienza della sigaretta viene amplificata, a livello emotivo (senso di piacere ad esempio), cognitivo (pensieri positivi di autostima) e comportamentale (ricerca di tali comportamenti tutte le volte che è possibile). Dal punto di vista neurobiologico, il rituale associato alla sigaretta – anche da solo, in assenza cioè della sigaretta stessa- diventa capace di stimolare potentemente specifici circuiti cerebrali chiamati “circuiti della ricompensa”, che rilasciano un potente neurotrasmettitore, la dopamina, capace di generare un profondo senso di euforia e benessere. L’individuo è portato a reiterare questi rituali, che rilasciano in sé una certa dose di dopamina, ma che inducono i massimi livelli di benessere e piacere – ed il massimo rilascio di dopamina – quando sono vissuti insieme allo stimolo al quale sono “associati”, la sigaretta.

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Pertanto, è importante la cessazione di tali rituali,  poiché, in condizioni di stress, l’individuo ricerca in modo naturale ed istintivo la sigaretta per amplificare quanto più possibile gli effetti psicologici e neurobiologici di questi rituali: vi è in sostanza un effetto “memoria” che fa ricadere il fumatore. Un trucco è quello di individuare uno per uno i rituali e sostituirli con altri altrettanto piacevoli ma non collegati in nessun modo con la sigaretta.

FATTORI PSICOLOGICI NON SPECIFICI

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Nel tabagismo esistono molteplici rinforzi di tipo psicologico, auto-incentivanti e auto-motivanti, che alimentano e mantengono nel tempo l’abitudine a fumare. In particolare, i rituali incentrati intorno al fumo, e gli aspetti della gratificazione “orale” – che non riguardano solo aspetti sensoriali come il gusto ed il tatto, ma anche aspetti simbolici di accudimento, rassicurazione e “nutrimento”- rappresentano elementi psicologici determinanti. Tuttavia essi sono “aspecifici”, presenti cioè in tutti i fumatori, e che prescindono largamente dalla personalità degli stessi.
Altri elementi aspecifici che caratterizzano la quasi totalità dei fumatori sono il sentimento di impotenza ed i vissuti di schiavitù, derivanti dall’incapacità di fare a meno del fumo e dallo stato di malessere in assenza delle sigarette. La ridotta autostima e il senso di colpa sono altri due elementi che accomunano quasi tutti i tabagisti; dal punto di vista cognitivo, tali vissuti si accompagnano a pensieri tipici, come “non riesco a farcela” “sono un debole” “non mi piaccio”. Se è vero che tali vissuti e pensieri sono disfunzionali, e contribuiscono a mantenere il circolo vizioso della dipendenza, è altrettanto vero che non sono in sé la causa che perpetua la dipendenza, bensì la diretta conseguenza: in linea di massima, non necessitano quindi di essere trattati attraverso la psicoterapia o la psicoanalisi, come si credeva in passato. Questi elementi accomunano infatti tutti i tipi di dipendenza, e quindi la terapia non deve focalizzarsi su essi; spesso, superata la fase delle sindrome di astinenza, i pensieri e le emozioni si autoregolano, lasciando il posto ad un incremento dell’autostima, e ad un sentimento di orgoglio e fiducia nelle proprie capacità. Occorre quindi concentrare il lavoro soprattutto su come conseguire in modo rapido ed efficace la disassuefazione, piuttosto che avventurarsi in complesse e spesso inutili interpretazioni psicologiche sulle cause del disturbo.

FATTORI PSICOLOGICI SPECIFICI

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Ben diverso è il ruolo di fattori psicologici specifici del singolo individuo, che spesso segnano l’esordio della dipendenza dalla nicotina, come nel caso di malattie proprie o dei propri cari, traumi psicologici importanti, lutti o separazioni difficili da elaborare. In questi casi, se non si risolve la causa che ha generato la dipendenza è probabile che ogni tentativo di disassuefazione sia infruttuoso.
In alcuni casi la dipendenza ha il significato di “compensare” una perdita importante, e pertanto non appena si prova ad interrompere l’abitudine del fumo subentra una sensazione di vuoto intollerabile, che va ben al di là dei normali sintomi d’astinenza. Nei disturbi post-traumatici invece la dipendenza tabagica può rappresentare un diversivo per non affrontare l’insopportabile peso del trauma mai elaborato. In questi casi è quindi necessario intraprendere un lavoro psicoterapeutico specifico per elaborare le perdite, i lutti e i traumi.
Il tabagismo può anche essere alimentato da una sottostante depressione; sospendere il consumo di sigarette in modo brusco in questi casi è assolutamente controindicato, poiché potrebbe slatentizzare un episodio depressivo anche grave. Riconoscendo tale disturbo sottostante, è invece più appropriato il ricorso ad una valutazione specialistica psichiatrica per impostare una terapia antidepressiva associata ad una psicoterapia.
Lo stesso discorso vale per i disturbi d’ansia, quali il disturbo d’ansia generalizzato ed il disturbo di panico, nei quali la sigaretta è utilizzata per i suoi effetti ansiolitici (che ricordiamo sono comunque di breve durata).

QUANDO LA SIGARETTA PROCURA PIACERE

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Molti fumatori fumano quasi solo per abitudine, senza trarre dalla sigaretta un reale piacere.
Altri, soprattutto i grandi fumatori, provano persino disgusto a fumare, ma sentono di non poterne fare a meno. Ma una certa quota di fumatori prova reale piacere a fumare: per essi la disassuefazione è un pochino più impegnativa, per le ragioni di tipo neurobiologico che abbiamo visto, relative soprattutto alla liberazione di dopamina nelle aree della ricompensa del cervello. In queste situazioni lo stratagemma vincente è quello di sostituire il piacere derivante dalle sigarette con una sensazione almeno equivalente come qualità ed intensità, ricercandola in situazioni non dannose per la propria salute e incompatibili con il fumo di sigaretta (come praticare sport o dedicarsi a un nuovo hobby).

“Da diversi anni il dottor Giuseppe Fatiga si occupa di disassuefazione dal fumo nel suo studio di via Monte Santo 6 a Torino. Puoi chiamarlo direttamente al 3809043007

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