MICROBIOTA, DISBIOSI E AGOPUNTURA (PARTE SECONDA)

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scritto da Giuseppe Fatiga

 

MICROBIOTA, EUBIOSI E DISBIOSI 

 

 

Il microbiota è un vero e proprio ecosistema, composto da almeno 500 differenti specie di batteri che sono ospitate nel nostro intestino. Come abbiamo visto nella prima parte dell’articolo da poco pubblicato, non si tratta di ospiti “passivi”, bensì di preziosi alleati che promuovono il nostro benessere globale, esercitando effetti – specialmente sul sistema immunitario –che si riverberano su tutti i nostri organi. Affinché ciò avvenga, le popolazioni batteriche dell’intestino devono essere in equilibrio, in uno stato che è stato definito eubiosi. Infatti non tutte le specie sono benefiche e “buone”, in quanto ne esistono anche di “cattive”. Ma cosa s’intende con tali aggettivi? Sono “buoni” quei batteri che svolgono funzioni positive per il nostro organismo, come vedremo a breve, e che sono oggetto di “tolleranza” da parte del sistema immunitario, in modo che possano coesistere con noi senza essere “attaccati”, evitando così un’inutile reazione infiammatoria. Sono “cattivi” quei batteri che non solo non ci aiutano a stare bene, ma che consumano sostanze preziose (vitamine, oligoelementi etc…), o che vengono riconosciuti come estranei dal sistema immunitario, con una conseguente reazione infiammatoria che, nel tempo, apre la porta a malattie degenerative, auto-immunitarie e anche tumorali. Sono “cattivi” anche quei batteri che attivano fenomeni di fermentazione e putrefazione intestinale, generando sostanze velenose come l’alcol etilico (fermentazione) o come le poliammine (putrefazione). Tuttavia il concetto di “cattività” non è assoluto, poiché alcuni di questi batteri svolgono alcune funzioni protettive, per esempio “addestrando” il sistema immunitario a rispondere a future infezioni batteriche, o anche inducendo il rilascio di sostanze che rinforzano la “barriera” intestinale. Ciò che fa la differenza sono sostanzialmentevdue fattori: 1) questi batteri “cattivi” non devono trovarsi in proporzioni e concentrazioni eccessive 2) devono essere adeguatamente  bilanciati dai batteri “buoni”. La disbiosi rappresenta quindi la condizione di rottura dell’equilibrio tra batteri buoni e cattivi, tale per cui questi ultimi finiscono per prevalere sui primi. In altri termini, nella disbiosi ci troviamo di fronte a una flora batterica intestinale patogena, che esercita effetti negativi sulla nostra salute, in contrapposizione all’eubiosi, in cui la flora batterica intestinale promuove il nostro benessere. Occorre a questo punto una doverosa precisazione. Se è vero che per semplicità si parla di flora batterica, in realtà l’ecosistema microbico intestinale si compone anche di virus, funghi e parassiti, che si trovano tutti in uno stato di equilibrio, esattamente come i batteri: al pari di questi possono promuovere o viceversa inficiare il nostro benessere.

LE FUNZIONI DELLA FLORA BATTERICA INTESTINALE

In condizioni di eubiosi, la flora batterica intestinale assolve innumerevoli compiti nell’ottica di promuovere il nostro benessere. Abbiamo visto, nella prima parte dell’articolo, il suo ruolo nella tolleranza immunologica e nella regolazione del sistema immunitario, nonché la capacità di mantenere la bilancia delle citochine in equilibrio, favorendo la produzione di quelle anti-infiammatorie e frenando quelle pro-infiammatorie. La flora funge da “scudo protettivo” nei confronti dei micro-organismi patogeni estranei al nostro organismo, stimolando tra l’altro la produzione di muco, che ostacola la loro adesione alla mucosa intestinale. In aggiunta induce la produzione delle IgA secretorie, che bloccano i germi patogeni, agglutinandoli e trascinandoli nelle feci, Essa è pure capace di favorire la rigenerazione delle cellule epiteliali dopo un danno. La flora contribuisce inoltre alla digestione di alcuni alimenti, soprattutto quelli molto ricchi in fibre, producendo tra l’altro gli acidi grassi a corta catena (il più noto dei quali è l’acido butirrico), che secondo gli studi più recenti sono utilizzati dalle cellule epiteliali intestinali come fonte energetica imprescindibile. Gli acidi grassi a corta catena vengono assorbiti e trasportati a tutto l’organismo, dove sembra che svolgano funzioni protettive nei confronti di svariate patologie, in particolare quelle cardiovascolari. I batteri commensali intervengono poi nella sintesi delle vitamine, soprattutto la B2,B3, B6, B12 e K, e nel metabolizzare farmaci e ormoni. A questo proposito, secondo gli ultimi  studi, nei soggetti con eubiosi intestinale la risposta alle terapie, specialmente quelle oncologiche, è nettamente migliore rispetto ai soggetti che soffrono di disbiosi. Infine, quando vi è eubiosi, l’intestino riesce a produrre adeguate quantità del neurotrasmettitore serotonina, mettendole a disposizione del cervello, favorendo così l’equilibrio psicologico. Una sana alimentazione, una regolare attività fisica e un ottimale funzionamento psico-emotivo concorrono a creare uno stato di eubiosi, per conservare il quale è anche essenziale limitare l’uso inappropriato di antibiotici, come vedremo a breve.

COSA ACCADE INVECE NELLA DISBIOSI

Nella disbiosi prevalgono i batteri “cattivi”, che compromettono moltissime funzioni del nostro organismo. Come detto, si rompe la tolleranza immunologica, in maniera tale che il sistema immunitario si attiva in modo abnorme, come se si trovasse di fronte a batteri estranei e non commensali. Questa attivazione porta alla produzione di citochine e altre sostanze con azione pro-infiammatoria, da cui deriva innanzitutto un’infiammazione locale dell’intestino. In tale circostanza la mucosa non riesce più ad assorbire in modo ottimale i nutrienti, con sintomi carenziali legati alla mancanza di ferro e vitamine di vario tipo. Questa infiammazione lede poi la “barriera” intestinale, con allentamento delle giunzioni strette poste tra le cellule, portando alla sindrome da permeabilità intestinale: svariate macromolecole sono in grado di attraversarla e di essere riconosciute come estranee dal sistema immunitario, incrementando l’infiammazione secondo un circolo vizioso, e favorendo anche reazioni di auto-immunità. Le cellule immunitarie producono infatti anticorpi contro queste sostanze, che per errore possono dirigersi contro le cellule “self” del nostro stesso organismo: molti studi suggeriscono che patologia come la tiroidite di Hashimoto possano essere favorite da reazioni di questo tipo. Anche le intolleranze alimentari, cioè il fatto di essere disturbati da specifici alimenti, sono spesso la conseguenza della presenza di ceppi patogeni che attivano in modo inappropriato il sistema immunitario, rendendoci “sensibili” a certi alimenti. È sopratutto l’assunzione esagerata e ripetuta di alcuni di questi, in violazione della regola dell’alternanza, la causa della disbiosi e della conseguente intolleranza ad essi. In condizioni di disbiosi, s’instaurano più facilmente malattie funzionali come il Colon Irritabile (IBS), oppure malattie infiammatorie intestinali quali il Morbo di Crohn e la Rettocolite Ulcero Emorragica(RCUE). Come se non bastasse, nelle disbiosi spesso si verifica una crescita spropositata dei ceppi che scindono le sostanze di origine alimentare attraverso processi di fermentazione e putrefazione: si tratta di fenomeni che portano alla formazione di sostanze tossiche e persino cancerogene per l’organismo, come l’alcol etilico per effetto della decomposizione dei carboidrati nell’intestino tenue, e le poliammine (putrescina e cadaverina) per effetto della digestione delle proteine nel colon. In corso di disbiosi, può persino accadere che nel sangue si ritrovi una concentrazione di etanolo ai limiti superiori di norma, come se l’individuo avesse bevuto, pur essendo invece completamente astemio! Per effetto di svariate sostanze di natura fermentativa e putrefattiva, nella disbiosi è comune la comparsa di sintomi quali il gonfiore addominale (meteorismo), la flatulenza e i crampi addominali, ma anche la nausea e l’inappetenza. Pure le alterazioni dell’alvo quali la stipsi e la diarrea sono molto frequenti: in conseguenza dell’infiammazione intestinale, si verifica infatti un’alterazione di tutti quei segnali biochimici, basati sugli ormoni e sulla serotonina, che regolano i movimenti intestinali, cioè la peristalsi. Questi stessi segnali modulano anche la secrezione degli acidi gastrici e degli enzimi intestinali, per cui nelle disbiosi possono comparire acidità e bruciori dello stomaco, dispepsia e difficoltà digestive. Molti di questi sintomi intestinali, come detto, possono essere scatenati da alcuni alimenti verso cui si è diventati intolleranti. Ma gli effetti della disbiosi vanno ben oltre quelli intestinali, poiché l’infiammazione cronica che ne deriva  – infiammazione cronica di basso grado o inflammaging – si trasmette a tutto l’organismo, favorendo malattie auto-immunitarie, degenerative e tumorali. Di particolare rilevanza sono gli effetti sul sistema nervoso, sia dal punto di vista neurologico (possibile insorgenza di malattie come il Parkinson e l’Alzheimer) sia da quello psico-emotivo (ansia, depressione, turbe della memoria, insonnia). In particolare, i batteri patogeni possono portare ad una carenza di serotonina attraverso due principali meccanismi: consumando nel lume intestinale la principale fonte di questo neurotrasmettitore (L-triptofano) e attivando l’enzima intestinale che degrada la serotonina. Poiché l’intestino produce il 95% della serotonina, mettendola a disposizione del cervello, nelle disbiosi può accadere che ad un certo punto questa sostanza si trovi in una concentrazione troppo bassa nel sistema nervoso, da cui depressione e ansia (la serotonina è definita la sostanza del buon umore)

LA SIBO

Con l’acronimo SIBO si indica una condizione di Sovracrescita Batterica Intestinale (dall’inglese “small intestinal bacterial overgrowth”). Tutto l’apparato gastro-intestinale, dallo stomaco all’ano, ospita diverse specie batteriche, in numero progressivamente crescente in senso prossimo-distale: per effetto dell’acidità gastrica nello stomaco si rileva un numero di batteri tendente allo zero, numero che cresce un pochino nell’intestino tenue, fino a diventare massimo nel colon. Il fatto che solitamente nell’intestino tenue vi sia un ridotto numero di ceppi deriva in parte dall’acidità gastrica, che uccide i batteri introdotti per via orale prima che possano raggiungerlo, e in parte dall’esistenza della valvola ileocecale, che impedisce ai batteri del colon di risalire fino al tenue. Quando l’acidità dello stomaco si riduce, ad esempio in corso di terapia con gli Inibitori della pompa protonica (PPI) ecco che alcuni batteri possono colonizzare più facilmente l’intestino tenue, portando alla SIBO. Lo stesso può accadere se la valvola ileocecale non funziona bene, come conseguenza di interventi chirurgici, oppure per effetto della stipsi, che favorisce una proliferazione incontrollata di batteri nel colon, che poi risalgono fino al tenue. Anche alcune intolleranze alimentari, come quella al lattosio o al glutine, possono generare la SIBO: infatti le sostanze che non riescono ad essere metabolizzate adeguatamente diventano un cibo per i batteri cattivi, che proliferano a dismisura. La SIBO è una condizione potenzialmente grave, in quanto interferisce con i processi di assorbimento che avvengono nell’intestino tenue: possibili conseguenze sono per esempio le anemie, sia quella sideropenica dovuta alla mancanza di ferro, sia quella legata alla carenza di vitamina b12. Essa può anche indurre pericolosi fenomeni di fermentazione. In conclusione, la SIBO è  un particolare tipo di disbiosi molto subdola, che per fortuna può essere diagnostica attraverso con il test del respiro (breath test) al glucosio o al lattulosio.

LE CAUSE DELLA DISBIOSI

L’alimentazione

Dobbiamo pensare alla nostra dieta come ad un insieme di sostanze ciascuna delle quali funge da nutrimento per un ben preciso ceppo batterico, stimolandolo a proliferare. Vista da un altro punto di vista, la dieta opera una “selezione” dei ceppi batterici, in modo tale che il nostro microbiota finisce per rispecchiare ciò che mangiamo. Ci sono cibi che fungono da stimolo per lo sviluppo dei batteri ”buoni”, come i cereali integrali, quelli ad alto contenuto di fibre (frutta secca, semi oleosi, verdure), il pesce ricco di omega 3 etc…e cibi che invece causano la proliferazione di batteri “cattivi”, quali gli zuccheri e le farine raffinate (“cibi spazzatura”), gli alcolici e i superalcolici, i formaggi e gli insaccati particolarmente lavorati – soprattutto quelli ricchi di acidi grassi –  così come gli oli animali e vegetali raffinati (anch’essi ad alto tenore di acidi grassi saturi). Alcuni di questi alimenti, soprattutto se assunti in quantità eccessiva, vengono eleborati dai batteri “cattivi” producendo fermentazioni e putrefazione intestinali. Anche cibi apparentemente sani, come la frutta fresca, per quanto ricchi di vitamine, oligoelementi e fibre, possono favorire la crescita di ceppi fermentanti se assunti in dosi inopportune. Allo stesso modo, un eccesso di proteine animali può indurre nel colon lo sviluppo di ceppi batterici che causano pericolosi fenomeni di putrefazione. Persino il latte può essere alla base della disbiosi nei soggetti intolleranti, che soffrono di un deficit specifico della lattasi intestinale, e lo stesso capita in chi sviluppa un’intolleranza al glutine.

Il nesso tra le intolleranze alimentari e la disbiosi

A questo punto risulta molto chiaro al lettore che alla base  delle intolleranze alimentari vi è la seguente catena causale: assunzione inappropriata di alcuni cibi –> disbiosi –> intolleranza ai cibi stessi. È un circolo vizioso in piena regola che si auto- alimenta: infatti assumendo questi cibi tutti i giorni o quasi, nutriamo i batteri “cattivi”, che scatenano a loro volta reazioni immunitarie esagerate in senso infiammatorio (essendo tali batteri riconosciuti come estranei). In definitiva, più continuiamo ad assumere determinate sostanze alimentari, più stiamo male, in quanto nutriamo la disbiosi, la quale alimenta l’infiammazione. Le intolleranze sono quindi dose-dipendenti, poiché maggiore è il quantitativo del cibo verso cui siamo intolleranti, più intensa è la reazione immunitaria e infiammatoria nei confronti di esso. C’è però anche un secondo meccanismo di intolleranza, che può essere dose-indipendente, nel senso che viene innescato anche da una piccola quantità di uno specifico alimento e/ o da un suo consumo saltuario. Qui entra in gioco la permeabilità intestinale, che fa penetrare nella mucosa macromolecole – principalmente proteine – che vengono immediatamente riconosciute come “estranee” dal sistema immunitario. Il nesso è il seguente: disbiosi –> incremento della permeabilità intestinale –> passaggio di proteine –> reazione immunitaria a certi alimenti (anche in piccole quantità). Occorre infine sottolineare che nelle intolleranze questi due meccanismi sono spesso co-presenti.

L’uso inappropriato di antibiotici, additivi e pesticidi

E’ indubbio che oggi vi sia un ricorso ingiustificato agli antibiotici nelle condizioni dove essi non sarebbero necessari: si tratta di pericolose “auto-prescrizioni” che per lo più saltano la visita e la valutazione di un medico. Se ripetute nel tempo, queste terapie alterano profondamente l’equilibrio del microbiota. Infatti i batteri “buoni” e quelli “cattivi” possono rispondere in modo molto differente agli antibiotici: per esempio, quelli “cattivi” sono più inclini a instaurare meccanismi di resistenza agli antibiotici, a differenza di quelli buoni, finendo per prevalere su questi ultimi. Dopo una singola terapia antibiotica, possono occorrere diversi mesi affinché la condizione di eubiosi possa essere recuperata, figuriamoci se la terapia si protrae o se più cicli di antibiotico-terapia si succedono nel tempo! Pure i pesticidi e gli additivi alimentari sono capaci di alterare l’ecosistema intestinale: la lista è così lunga da non poter certo essere esaminata in questa sede.

Il fumo di sigaretta

Secondo recenti studi il fumo di sigaretta è una causa rilevante di disbiosi, per quanto i meccanismi di questa associazione non siano ad oggi del tutto noti.

Stress, ansia e depressione

Recenti studi indicano che le condizioni di disbiosi sono particolarmente frequenti nei soggetti affetti da vari tipi di disagio psichico, come l’ansia e la depressione. Per lo più si tratta del “cane che si morde la coda”, nel senso che queste condizioni da un lato possono favorire la disbiosi, attraverso meccanismi che tra poco descriveremo, ma allo stesso tempo possono essere aggravate dalla disbiosi. Lo stress, per esempio, è stato molto studiato, ed incide sulla flora batterica intestinale in più modi. Uno di questi è certamente il cortisolo, che è capace di inibire la risposta immunitaria nei confronti dei ceppi “cattivi”, portandoli a proliferare oltre misura. Occorre poi considerare che i batteri cooperano alla digestione, cibandosi soprattutto delle fibre insolubili o altre sostanze alimentari (pectine, cellulosa etc…) che resistono all’acidità e all’azione degli enzimi gastro-intestinali. Quando la digestione non si svolge correttamente, i cibi non possono essere scissi completamente e fungono da “substrato” per i batteri intestinali, soprattutto per quelli “cattivi” che proliferano a dismisura. Sono tantissime le possibili cause di un’incompleta digestione: una masticazione frettolosa, una ridotta produzione di acidi ed enzimi intestinali, o ancora le alterazioni della peristalsi come quelle che si verificano nel colon irritabile. A loro volta, tutte queste situazioni sono frequentemente legate allo stress e alle emozioni disturbanti, che turbano la produzione di acidi e degli enzimi digestivi nonché la peristalsi. Nello specifico, lo stress psico-emotivo altera il sistema nervoso autonomo simpatico e parasimpatico, che controlla appunto tutte queste funzioni. Pure il sistema nervoso intestinale, definito il “secondo cervello” per l’enorme numero di cellule nervose che contiene, viene profondamente messo in crisi dagli stati emotivi disturbanti: il risultato è un’alterazione dei processi digestivi e della peristalsi, con incompleta digestione dei cibi, sui quali i batteri “cattivi” si avventano e “banchettano”.

Alterazioni della peristalsi

L’abitudine di assumere una scarsa quantità di liquidi, di ingerire poche fibre e di fare un insufficiente movimento favoriscono il rallentamento dei movimenti di peristalsi intestinale e la stipsi: in questo contesto, i residui alimentari vengono sottoposti ad un’ elaborazione più lunga da parte dei batteri commensali, con una crescita esagerata ed una conseguente rottura dell’equilibrio tra batteri “buoni” e batteri “cattivi”. La diarrea è meno frequentemente una causa della disbiosi, con l’eccezione dell’alvo alternante tipico della sindrome del colon irritabile, caratterizzato da un’alternanza di diarrea e stipsi.

Sedentarietà e ridotta attività fisica

Praticare con costanza l’attività fisica consente di ridurre i livelli di stress che sono una causa diretta della disbiosi. E’ possibile inoltre regolarizzare la peristalsi, attraverso il riequilibrio del sistema nervoso autonomo simpatico e parasimpatico, nonché inducendo il rilascio di ormoni come le endorfine: per effetto di questi meccanismi si ottiene infatti un’efficienza ottimale di tutte le funzioni dell’intestino, ivi inclusi i movimenti parietali. All’opposto, la sedentarietà nuoce alle funzioni dell’intestino, predisponendo tra l’altro alla stipsi. Chi pratica attività fisica regolare tende inoltre ad alimentarsi correttamente, evitando soprattutto i “cibi spazzatura” che sono una delle cause della disbiosi.

L’AGOPUNTURA NEUTRALIZZA LE CAUSE DELLA DISBIOSI

L’agopuntura riequilibra gli effetti negativi della disbiosi, agendo sul sistema immunitario intestinale e sulla produzione delle citochine. Sorprendentemente, questa tecnica è anche idonea a neutralizzare gran parte dei fattori che la generano. Al primo posto c’è la capacità dell’agopuntura di neutralizzare lo stress e i suoi effetti nefasti intervenendo a più livelli. Innanzitutto regola il sistema nervoso autonomo, riducendo l’attività eccitatoria del sistema simpatico ed incrementando la funzione calmante del sistema parasimpatico. L’agopuntura riduce poi la produzione di cortisolo e delle catecolamine (adrenalina e noradrenalina) che eccitano l’organismo, e al contempo induce il rilascio di alcuni ormoni del benessere a livello dell’ipofisi, in particolare le endorfine. Degna di nota è infine la liberazione nel cervello di importanti neurotrasmettitori “calmanti”, come il GABA (acido gamma-amino-butirrico), la serotonina e il neuropeptide Y. Tutti questi meccanismi spiegano la capacità dell’agopuntura di ridurre gli stati di ansia e depressione che si associano alla disbiosi. In aggiunta, l’agopuntura è in grado di regolare la secrezione acida dello stomaco e la produzione degli enzimi digestivi, nonché la peristalsi: lo fa principalmente con l’intermediazione del sistema nervoso autonomo, ma anche attraverso gli ormoni sopra menzionati. In aggiunta, l’agopuntura è in grado di modulare i comportamenti alimentari scorretti che sono alla base della disbiosi, agendo per esempio sul senso di fame/sazietà, oppure riducendo il desiderio dei cibi “spazzatura”. Infine occorre considerare che l’intestino è il “secondo cervello” per densità di cellule nervose e per la rete particolarmente ricca di terminazioni nervose: questa sofisticata centralina stabilisce le modalità e i ritmi della digestione, e regola la peristalsi e tutte le altre funzioni dell’apparato digerente che sono chiamate in causa nella disbiosi. L’agopuntura sfrutta proprio questa complessa rete neuronale per influenzare il funzionamento globale dell’intestino e correggere la disbiosi.

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MICROBIOTA, DISBIOSI E AGOPUNTURA (PARTE PRIMA)

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MICROBIOTA, SALUTE E AGOPUNTURA 

In che modo la nostra flora batterica intestinale influenza il sistema immunitario? Come può una situazione di disbiosi condurre ad un’infiammazione cronica del nostro organismo, spalancando la porta a malattie degenerative, auto-immunitarie e tumorali?  L‘agopuntura contribuire a bloccare questa infausta catena di eventi? In questo articolo risponderemo a questi quesiti. Ma andiamo con ordine, partendo dalle funzioni del nostro intestino, studiando in particolare il suo sistema immunitario.

L’INTESTINO COME BARRIERA

Quello gastrointestinale non è un apparato deputato esclusivamente alla digestione e all’assorbimento degli alimenti solidi e liquidi. Tra le sue funzioni vi è anche quella di elaborare specifiche risposte nei confronti delle sostanze e dei microbi che raggiungono il nostro organismo attraverso la via orale: di volta in volta viene stabilito se essi sono “innocui”, oppure se dobbiamo mettere in atto opportune difese per neutralizzarli in quanto potenzialmente “pericolosi”. Queste sostanze di origine microbica o alimentare sono chiamate antigeni, in quanto sono riconosciute dal sistema immunitario dell’intestino che mette in atto due opposte reazioni. Può ignorarle, reputandole innocue, e inviando l’ordine di “non procedere” alle “pattuglie speciali” che sorvegliano l’intestino (cioè le varie cellule del sistema immunitario, che descriveremo oltre). Al contrario, di fronte a un potenziale agente dannoso, ordina a tali pattuglie di rispondere e attaccare, attraverso una cascata di reazioni di tipo infiammatorio. L’infiammazione richiama altre truppe, secondo un effetto domino, ma non solo: queste truppe speciali si spostano negli altri organi dell’organismo, attraverso l’intricata rete linfatica e sanguigna che connette tra loro distretti anche molto distanti. E’ in questo modo che ciò che accade nell’intestino condiziona la salute dell’interno organismo.

IL SISTEMA IMMUNITARIO DELL’INTESTINO

Con l’acronimo GALT si intende il gut-associated lymphoid tissue, cioè quella parte del sistema immunitario presente a livello dell’apparato digerente. Il sistema immunitario comprende infatti diverse stazioni, anche lontane tra loro, ma tutte interconnesse, molte delle quali poste in corrispondenze delle mucose, che si comportano come vere e proprie barriere nei confronti del mondo esterno (MALT, mucose-associated lymphoid tissue): oltre a quelle dell’apparato digerente, sono essenziali nella risposta immune le mucose del sistema respiratorio (narici comprese), delle congiuntive e del tratto uro-genitale. Attraverso la rete del MALT ciò che accade a livello delle mucose intestinali induce reazioni in tutti gli altri organi, con l’intermediazione del sistema immunitario. La funzione delle barriere mucose è quella di impedire il contatto con i potenziali allergeni, facendo penetrare nell’organismo solo quelli innocui. Tutravia queste barriere  barriera non sono completamente impermeabili: esse lasciano passare alcuni di questi antigeni affinché il GALT li possa riconoscere, mettendo in atto la risposta più adatta. Molti dei processi che avvengono nelle mucose intestinali sono infatti il risultato di un “apprendimento” e un “addestramento” del sistema immunitario fondato anche sulla memoria: proprio per giocare in anticipo su un possibile pericolo, di tanto in tanto la mucosa intestinale lascia passare gli antigeni affinché il sistema immunitario possa studiarli, elaborarli e approntare risposte efficaci e rapide qualora in futuro vi sia una nuova esposizione a tale pericolo. A questo servono per esempio le Immunoglobuline di tipo A (IgA) prodotte dalle cellule intestinali, che vengono secrete nel lume intestinali per legarsi agli antigeni, bloccandoli prima che possano entrare in contatto con la mucosa.

Antigeni alimentari e microbici

Gli alimenti servono per nutrire il nostro organismo, e come tali sono fondamentali, tanto che esso non solo non li reputa pericolosi, ma utilizza buona parte della sua energia proprio per elaborarli e assimilarli, attraverso la secrezione di enzimi intestinali, appropriati movimenti intestinali (la peristalsi), nonché producendo ormoni gastro-intestinali e neurotrasmettitori che regolano finemente i processi digestivi. Anche i processi cognitivi e le emozioni sono sottilmente modulati in modo che la digestione si svolga nel modo più armonioso possibile. Tuttavia non tutti i cibi e bevande sono salutari per il nostro organismo, senza considerare il fatto che per la via orale possono essere ingeriti anche pericolosi microbi virali, batterici, fungini e protozoari: l’organismo deve quindi poterli riconoscere il prima possibile, evitando che entrino nell’organismo e si diffondano attraverso la rete linfatica e sanguigna in direzione degli organi nobili. Esistono difese innate, molto potenti, nei confronti dei veleni che il nostro organismo è in grado di riconoscere immediatamente: si tratta del riflesso del vomito ( a cui si associa spesso anche crampi addominali e diarrea). Inoltre negli alimenti sono contenute proteine che in sé non sono dannose, ma che in specifiche condizioni (ne parleremo oltre) possono essere riconosciute dal nostro sistema immunitario come tali: esse potrebbe ad esempio essere scambiate come componenti di veleni o come microorganismi patogeni. Le proteine alimentari possono essere quindi ignorate, attraverso un meccanismo che viene definito “tolleranza immunitaria”, o al contrario possono innescare un’attivazione delle cellule del sistema immunitario, che rilasciano sostanze nocive per l’organismo tra cui molecole ossidanti, istamina e altre sostanze infiammatorie quali le citochine. Le intolleranze alimentari sono proprio basate su questo secondo meccanismo. Talvolta, gli allergeni scatenano nella mucosa intestinale persino una reazione di tipo allergico, attraverso la produzione di Immunoglobuline di tipo E che, legandosi ai mastociti e ai basofili, causano un massiccio rilascio di istamina nei tessuti.

Rispondere al pericolo o ignorarlo

Le cellule dell’epitelio intestinale, chiamate enterociti, sono caratterizzate da una forma cilindrica, sono disposte in un unico strato, rivestendo i villi intestinali, e possiedono la funzione di assorbire le sostanze derivanti dalla scomposizione degli alimenti (ad opera dell’acidità gastrica e degli enzimi intestinali). Esse devono invece fungere da barriera nei confronti delle grosse molecole, che potrebbero non appartenere ai nutrienti, ma essere al contrario un potenziale danno per l’organismo, comportandosi come antigeni: per questo aderiscono tenacemente l’una all’altra attraverso le giunzioni.

Sparse tra gli enterociti si trovano le cellule M, a cui è affidata la prima fase della risposta immunitaria: attraverso un processo chiamato endocitosi gli antigeni vengono trasportati verso il sistema immunitario intestinale, localizzato nelle placche del Peyer (che non sono altro che noduli linfatici). Qui l’antigene viene captato dalle cellule dendritiche (DC), cioè da uno speciale tipi di cellule che ha un insieme di propaggini (simili a tante braccia o tentacoli), finalizzate proprio a catturare avidamente le sostanze antigeniche. Le propaggini delle DC raggiungono il lume intestinale, e sono quindi capaci di afferrare l’antigene prima ancora che possa penetrare nella mucosa attraverso le cellule M. Dopo essere entrato nelle DC, l’antigene viene poi appositamente “elaborato” e portato sulla loro superficie in forma “riconoscibile” al sistema immunitario: per questo le DC fanno parte, insieme ai macrofagi (che svolgono la stessa funzione), delle cellule che presentano l’antigene (APC). Come vedremo oltre, nell’intestino permeabile (gut permeability) le giunzioni tra gli enterociti si allentano, e gli antigeni vengono riversati in quantità esagerata all’interno della mucosa, senza alcuna regolazione, scatenando una risposta immunitaria altrettanto esasperata. I linfociti T helper CD4+ (TH), localizzati nelle placche del Peyer e nei linfonodi satelliti intestinali, riconoscono l’antigene presentato dalle APC e rispondono in due differenti modi: inducendo una risposta immunitaria o ignorando tale antigene. Esistono due tipologie di linfociti T Helper CD4+. I TH1 che sono responsabili dell’immunità cellulare, richiamando i macrofagi che uccidono in modo particolare i batteri patogeni: questa immunità è innata, nel senso che è stata programmata per uccidere i microbi sin dal loro primo ingresso nell’organismo, in modo grossolano ma efficiente (come detto queste cellule intervengono soprattutto per combattere i batteri). I TH2 rappresentano invece un’immunità acquisita, che s’instaura nel corso di ripetute esposizioni ad un certo antigene: è più raffinata, in quanto prevede la produzione di anticorpi specifici, inducendo la trasformazione dei linfociti B in plasmacellule (che producono appunto gli anticorpi). I TH2 agiscono soprattutto se vi sono infezioni da vermi (elminti) facendo produrre Immunoglobuline E (IgE). I linfociti T CD8+ sono invece cellule che uccidono in modo diretto le cellule infettate da batteri e virus, mentre i TH17 sono attivi specificamente contro i funghi, richiamando vari tipi di leucociti preposti alla loro uccisione. Tutti questi attori della risposta immunitaria entrano quindi in azione quando rilevano proteine di provenienza microbica, ma fanno esattamente lo stesso qualora una proteina di origine alimentare venga riconosciuta come estranea. I risultati sono i medesimi: vengono richiamate “in loco” diversi tipi di cellule immunitarie, avviene il rilascio di sostanze tossiche come quelle ossidative (per esempio le specie reattive dell’ossigeno), e si arriva così ad una reazione infiammatoria: tutto questo ha come scopo la pronta eliminazione delle sostanze etichettate come “pericolose” che sono giunte a contatto con il nostro organismo, superando le “barriere”. Non solo: le cellule del sistema immunitario “attivate” migrano nei linfonodi intestinali, e da qui in tutto l’organismo, portando “l’infiammazione” in ogni organo. Esiste infine una tipologia di cellule, i linfociti T CD4+ regolatori (TREG), che sono di fatto le protagoniste della tolleranza immunitaria nei confronti delle molecole innocue, che siano di origine microbica o che derivino dall’alimentazione: esse sopprimono la risposta immunitaria, tanto quella cellulare innata, quanto quella anticorpale acquisita. Proprio per evitare di attivare risposte inappropriate ed esagerate che potrebbero essere nocive per l’organismo, i TREG rilasciano citochine con azione anti-infiammatoria.

PROTEINE ALIMENTARI, BATTERI INTESTINALI E SISTEMA IMMUNITARIO

Solo il 2% delle proteine alimentari sono dei potenziali allergeni, nel senso che sono in grado di scatenare una risposta da parte del sistema immunitario intestinale, volta a neutralizzarle, secondo un principio di “estraneità”, mentre il 98% di esse sono oggetto di ignoranza immunologica. I meccanismi di questa tolleranza sono molteplici, e vanno sotto il nome di tolleranza orale. In virtù di questa tolleranza, la prima esposizione alle proteine della dieta, quando non arreca nessun danno all’organismo, sopprime la risposta immunitaria, in maniera tale che anche nelle successive esposizioni ad esse il nostro organismo possa ignorarle. La stessa tolleranza si verifica nei confronti dei batteri commensali, in altri termini la flora batterica intestinale di cui parleremo tra breve. L’acidità dello stomaco e gli enzimi digestivi, scomponendo gran parte di queste proteine, di fatto sono i principali attori della tolleranza orale. Poniamo tuttavia che le proteine siano capaci di arrivare all’intestino: a questo punto entrano in gioco le Immunoglobuline A, capaci di legarsi ad esse e impedire il contatto con la mucosa intestinale e l’assorbimento. Un terzo elemento cruciale è l’integrità della barriera epiteliale dell’intestino: molti fattori, come l’alcool, la disbiosi di cui parleremo in seguito e tutte le infiammazioni dell’intestino sono capaci di lederla, causando un passaggio anomalo di proteine antigeniche. Nello specifico, tali fattori causano un allentamento delle giunzioni che in condizioni fisiologiche fanno aderire saldamente tra loro le cellule della mucosa intestinale: a tale riguardo, nel 2000 Alessio Fasano e il suo team identificarono la zonulina, una proteina che si attiva per effetto dei fattori citati, e che incrementa la permeabilità delle mucose, causando una condizione che è stata definita gut permeability (permeabilità intestinale). In soggetti celiaci o intolleranti al glutine, la gliadina (che è la principale proteina del frumento) è capace di attivare la zonulina e aumentare la permeabilità intestinale. Un quarto fattore di tolleranza orale è legato alla dose delle proteine introdotte con la dieta: sia nel caso che sia troppo alta, sia nel caso che sia troppo alta, vi è una soppressione della risposta immunitaria (in sostanza, il sistema immunitario risponde a una proteina solo se è presente in una quantità ben precisa, né troppo alta né troppo bassa). Infine c’è un quinto meccanismo legato ai PRRs (Pattern Recognition Receptors): si tratta di recettori, cioè speciali antenne, poste sulle cellule epiteliali intestinali e su alcuni tipi di cellule immunitarie della mucosa intestinale (macrofagi e cellule dendritiche), che riconoscono le molecole dei batteri intestinali commensali (chiamate PAMPs). Quando i PRRs si legano ai PAMPs, la risposta immunitaria viene spenta, in modo che i batteri appartenenti alla nostra flora “buona” non vengano riconosciuti come nemici ed erroneamente attaccati (si tratta infatti di commensali). Il legame tra i PRRs e i PAMPs dei batteri “buoni” sopprime anche l’infiammazione, attraverso il rilascio di citochine ad azione anti-infiammatoria: l’infiammazione non solo è inutile, ma è persino dannosa se ci si trova di fronte a sostanze innocue per l’organismo. Nello specifico sono i linfociti T REG CD4+ ( di cui abbiamo parlato sopra), a inibire la risposta immunitaria, sia quella legata ai linfociti CD8+ citotossici (cellule che ad esempio sono deputate a distruggere in modo diretto i batteri), sia quella legata agli anticorpi. Come detto, le cellule T REG portano pure alla produzione di citochine anti-infiammatorie il luogo di quelle pro-infiammatorie (vedi articolo su infiammazione cronica).

I BATTERI INTESTINALI INDIRIZZANO LA DIFESA IMMNUNITARIA

Tutti noi ospitiamo un numero impressionante di batteri intestinali, che ammonta a circa 1 Kg di peso ed è costituito da oltre 500 specie (forse anche 1000): è la famosa flora batterica intestinale, conosciuta oggi come microbiota. Sono nostri ospiti, nostri commensali, ma allo stesso tempo sono microorganismi così integrati nel nostro corpo da poter essere considerati come cellule che ci appartengono, come un tessuto o un organo accessorio per noi indispensabile come tutti gli altri. Possiamo anche considerare tali batteri come un “secondo” organismo, che ha la sua sede nell’intestino e che collabora per la salute dell’organismo più grande che lo ospita. Il microbiota è l’insieme dei batteri che convivono con noi, e che si trovano in una condizione di equilibrio complessivo di eu-biosi (eu- in greco significa giusto, buono): le 500 popolazioni si bilanciano l’un l’altra, si completano, e in questo modo garantiscono l’integrità della mucosa intestinale e per riflesso di tutto l’organismo. Nel loro insieme, si comportano come una barriera nei confronti dei vari microorganismi patogeni (batteri, virus, funghi e parassiti) che cercano di penetrare nel nostro corpo per nutrirsi e riprodursi. Nello stato di eubiosi ospitiamo quindi prevalentemente batteri buoni, che svolgono innumerevoli funzioni positive, mentre nella disbiosi (dis- sta per cattivo o sbagliato) prevalgono batteri “cattivi”, che alterano l’equilibrio dell’intestino e di tutto l’organismo: spesso sono anche batteri che generano fenomeni di fermentazione e putrefazione intestinale. I batteri producono anche una serie di tossine che ledono la mucosa intestinale. Ma soprattutto questi batteri cattivi si comportano in sostanza alla stregua dei batteri che penetrano dall’esterno e causano infezioni, e in quanto tali attivano in modo patologico il sistema immunitario, scatenando uno stato infiammatorio. Quando ci troviamo in uno stato di eubiosi il sistema immunitario sviluppa una risposta di tolleranza immunitaria nei confronti dei vari antigeni che giungono a contatto con la mucosa intestinale, con attivazione delle cellule TREG. Al contempo prevale la produzione di citochine anti-infiammatorie. Inoltre, i batteri buoni stimolano la riparazione delle cellule epiteliali intestinali, potenziando la loro funzione di “barriera”, mentre quelli cattivi ledono tali cellule e allentano le loro giunzioni, favorendo la permeabilità intestinale. Nella disbiosi, le macromolecole alimentari, specialmente le proteine, normalmente tollerate dal nostro organismo in quanto bloccate prima che possano penetrare nella mucosa, riescono ad attraversare più facilmente le giunzioni, infilandosi tra una cellula e l’altra, fino a raggiungere in quantità massiccia le APC (DC e macrofagi) e a stimolare in modo esagerato il sistema immunitario. Sulla base dei meccanismi che abbiamo descritto, è facile capire come la disbiosi si associ in modo rilevante a vari tipi di intolleranze alimentari. In corso di disbiosi, si osserva inoltre un inappropriata attività dei linfociti TH2 e una spiccata tendenza a produrre IgE in alto numero, meccanismo che è alla base delle allergie. In sostanza la flora batterica intestinale influenza la salute non solo dell’intestino, ma dell’intero intestino, poiché le cellule del sistema immunitario, quando vengono attivate in modo patologico nella disbiosi, migrano nei linfonodi intestinali e poi in tutti gli organi, comproemettendo la loro integrità e il loro funzionamento: l’infiammazione che ne deriva somiglia ad un incendio, che si allarga a tutto l’organismo sotto l’impulso di un vento malefico.

L’AGOPUNTURA NELLA DISBIOSI

L’agopuntura è nota al grande pubblico soprattutto per la sua capacità di ridurre il dolore, che ne giustifica l’utilizzo in un ampio ventaglio di condizioni cliniche che vanno dai disturbi ortopedici come quelli della schiena, del collo, della spalla etc…fino ad arrivare a patologie come la cefalea, l’emicrania o la dismenorrea. Oggi sappiamo che questa terapia può essere efficace anche in condizioni molto diverse, come l’ansia o l’insonnia, oppure la nausea in gravidanza o durante chemioterapia, per citarne solo alcune. Fino a poco tempo non si sospettava minimamente che essa potesse essere capace di riequilibrare anche il microbiota intestinale, ed è proprio su questo che voglio soffermarmi.

Un dialogo secondo due direzioni

Esiste un dialogo in due direzioni (di andata e ritorno) tra i batteri intestinali e il sistema immunitario associato alla mucosa intestinale, tale per cui i ceppi patogeni disbiotici  attivano le cellule immunitarie, ma anche queste ultime, se non funzionano in modo corretto, possono favorire lo sviluppo di una flora “cattiva”: un cane che si morde la coda! Da un lato l’agopuntura neutralizza efficacemente gli effetti della disbiosi, cioè la cascata di eventi che porta alla disfunzione del sistema immunitario e alla conseguente infiammazione cronica, prima intestinale e poi dell’intero organismo. Dall’altro corregge le disfunzioni del sistema immunitario che sono alla base della proliferazione dei ceppi “cattivi” a discapito di quelli “buoni”.

L’agopuntura contrasta gli effetti negativi della disbiosi 

Secondo i recenti studi, questa terapia è capace di ripristinare l’equilibrio fisiologico del sistema immunitario, agendo soprattutto sui linfociti T helper CD4+: particolarmente rilevante è la stimolazione delle cellule TREG che sopprimono la risposta immunitaria, sia quella cellulare (TH1) che quella che anticorpale (TH2). Cruciale, e oramai ben documentata, è poi la possibilità di riequilibrare, attraverso l’agopuntura, il sistema delle citochine, incrementando quelle anti-infiammatorie, e al contempo riducendo quelle pro-infiammatorie: di fatto viene ridotta l’infiammazione cronica, e con essa anche il rischio di malattie degenerative e tumorali. Come può l’agopuntura fare tutto questo? Essenzialmente attraverso l’intermediazione del sistema nervoso autonomo che si ramifica in modo capillare ed esteso nelle pareti dell’intestino, giungendo a stretto contatto con le cellule del sistema immunitario e con le APC, potendo così influenzarne il funzionamento. Vi è poi la capacità dell’agopuntura di far produrre ormoni, come l’MSH, le endorfine e il cortisolo che, una volta immessi nel circolo sanguigno, raggiungono le cellule immunitarie di tutto l’organismo, regolando in modo fine il loro funzionamento.

L’agopuntura aiuta a contrastare i ceppi patogeni potenziando il sistema immunitario

Oggi sappiamo che lo stress patologico induce il rilascio di massicce quantità di cortisolo, che a sua volta inibisce la funzione dei linfociti. In questa circostanza si osserva una compromissione della produzione delle Ig A, che abbiamo visto essere fondamentali sia per difenderci dalle aggressioni microbiche, sia per la tolleranza immunologica. Ebbene, l’agopuntura neutralizza le risposte di stress, riduce la produzione di cortisolo e in tal modo ripristina una corretta produzione di IgA. L’agopuntura, regolando il sistema immunitario, agisce quindi in maniera importante su una delle cause della disbiosi – la carenza delle IgA –  ma esistono tante altre condizioni in cui il sistema immunitario è indebolito e non riesce ad arginare in modo efficiente i batteri patogeni: si tratta di situazioni che possono essere tutte corrette attraverso l’agopuntura.

L’agopuntura è efficace contro le allergie

Molto rilevante è pure la possibilità di intervenire sulle allergie, riducendo la produzione di IgE: questo  è possibile da un lato riducendo l’attività dei TH2,  e dall’altro incrementando quella dei TH1, spostando quindi la bilancia dell’immunità verso la risposta cellulare, a scapito di quella anticorpale.

L’agopuntura agisce sia sulle cause che sulle conseguenze della disbiosi

In conclusione, l’agopuntura interviene efficacemente tanto sulle cause che sugli effetti della disbiosi. A breve pubblicherò un secondo articolo sulla disbiosi, in cui esaminerò tutte le cause che la sostengono, e come l’agopuntura possa intervenire efficacemente su ciascuna di esse. Arrivederci a presto!

 

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Agopuntura e allergie: come, quando e perché

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L’agopuntura nelle allergie

Le allergie causano rilevanti sintomi che disturbano anche pesantemente la vita di chine soffre. Possono essere prevalentemente stagionali, in relazione ai cicli delle pollinazioni, tipicamente in Primavera, con la classica presentazione della rino-congiuntivite: starnuti, naso che cola, prurito nasale, occhi rossi e che lacrimano. Oppure perenni, con sintomi pressoché costanti e indipendenti dalle stagioni: l’allergia agli acari oppure al pelo degli animali domestici sono chiamati spesso in causa, ma anche le ondate di pollinazioni che non coincidono con la primavera o che derivano dai cambiamenti climatico-ambientali. Spesso la gravità delle manifestazioni allergiche è accentuata da alcune patologie delle cavità naso-paranasali, quali deviazioni del setto nasale, ipertrofia dei turbinati, polipi nasali, sinusiti croniche. Anche la facilità a contrarre infezioni delle prime vie aeree può portare ad una recrudescenza delle allergie sottostanti. Le allergie non sono necessariamente gravi in sé, ma in alcuni soggetti conducono alla perdita del gusto e dell’olfatto, oppure si associano all’asma bronchiale. Tra l’altro oggi sappiamo che il naso e i polmoni fanno parte di un unico sistema funzionale, e che le riniti allergiche portano spesso anche a problematiche respiratorie di tipo asmatico. Esiste una chiara predisposizione familiare alle manifestazioni allergiche, desumibile dalla storia familiare ma anche dall’insorgenza precoce già nell’infanzia di patologie come la dermatotite atopica.

I meccanismi delle allergie

Le allergie sono causate da un errore del sistema immunitario, che sviluppa una reazione esagerata (“iper-ergica”) a sostanze normalmente tollerate dal nostro organismo: gli allergeni. In particolare, l’esposizione agli allergeni causa un’anomale ed esagerata produzione di Immunoglobuline E (un particolare tipo di anticorpi), le quali si legano alla superficie dei granulociti basofili e dei mastociti localizzate nella cute e nelle mucose. Tali cellule rilasciano così massicce quantità di istamina nei tessuti circostanti, determinando in tempi rapidissimi una cascata di reazioni infiammatorie. Oggi esistono molti farmaci che a vari livelli bloccano questo insieme di reazioni, principalmente i cortisonici, gli anti-istaminici e gli anti-leucotrienici, che tuttavia non sono esenti da effetti collaterali. Da qui la richiesta da parte dei soggetti allergici di terapie prive di effetti indesiderati, ma al contempo efficaci.

L’agopuntura come cura naturale ed efficace delle allergie

Diversi studi scientifici hanno dimostrato che l’agopuntura riduce in modo significativo i sintomi delle manifestazioni allergiche. L’effetto si esprime a vari livelli: da un lato abbatte il fabbisogno di farmaci, e quindi i loro effetti avversi, dall’altro, se praticata al primo insorgere dei sintomi (nelle forme stagionali), può persino bloccarli sul nascere. Nelle forme lievi-moderate può essere senz’altro una valida alternativa ai farmaci, mentre nelle forme gravi riesce comunque a contenere la terapia farmacologica. Nelle forme stagionali, se praticata con regolarità ogni anno al primo insorgere dei sintomi, è in grado di “rieducare il sistema immunitario”, regolando in particolare i linfociti T helper 2 da cui dipende la produzione delle Immunoglobuline E. L’agopuntura esplica in tutte le condizioni una marcata azione antinfiammatoria, riequilibrando la produzione delle citochine, sostanze che svolgono un ruolo chiave nei meccanismi di attivazione/spegnimento dell’infiammazione. L’agopuntura induce anche la produzione di cortisolo, che è il più potente ormone antinfiammatori. Pure l’azione di riequilibrio del sistema nervoso autonome è rilevante e cruciale, poiché spesso nelle allergie esiste uno sbilanciamento proprio del sistema simpatico e parasimpatico. Non dimentichiamo infine l’azione sulla psiche: riduzione delle risposte di stress e di ansia, miglioramento del tono dell’umore, incremento della profondità del sonno. Ogni allergico sa bene infatti quale disagio emotivo creino i sintomi allergici!

Quante sedute occorrono? Sfatiamo il luogo comune di una sola seduta

Purtroppo nelle allergie l’agopuntura è sotto-utilizzata, essenzialmente per una ragione: si pensa che bastino una o due sedute per risolverla. Ahimè non è così, o almeno non sempre come vedremo a breve. La “rieducazione” del sistema immunitario ha infatti bisogno di tempo, realizzandosi pienamente in circa 8 settimane. Nei casi lievi l’azione dell’agopuntura può essere molto rapida, anche dopo una seduta, in virtù della sua azione anti-infiammatoria e anti-istamina, ma questa non è la norma. Anzi, nei casi più severi, dopo le prime sessioni di agopuntura si può verificare  un temporaneo aggravamento dei sintomi, che comunque lascia poi il posto ad un netto miglioramento. Perché ci sia questa convinzione l’ho scoperto nel corso degli anni: alcuni agopuntori praticano sì l’agopuntura, ma poi iniettano vari di tipi di farmaci nei punti precedentemente infissi, alcuni dei quali “a rilascia prolungato nel tempo”. E’ vero che conta il risultato, tuttavia questa non è una vera agopuntura, e non è la filosofia su cui baso il mio lavoro: personalmente amo l’agopuntura pura, integrata talvolta da altre tecniche come l’auricoloterapia, ma sempre, rigorosamente, senza l’iniezione di alcun farmaco. Nelle forme stagionali l’agopuntura richiede dieci sedute, spalmate in circa due mesi di trattamento: nelle forme lievi-moderate possono volercene anche meno. Il ciclo va ripetuto, ogni anno, al primo insorgere dei sintomi. Tuttavia, anno dopo anno, le manifestazioni tendono ad attenuarsi per effetto della modulazione del sistema immunitario e dell’ ”effetto memoria dell’agopuntura”: è proprio  così, secondo i recenti studi l’organismo è in grado di ricordare l’effetto delle precedenti sedute, evocandolo in tempi più rapidi. Anche nelle forme perenni il ciclo iniziale è di circa dieci sedute, ma in questi casi è indicato un mantenimento (per esempio una volta al mese), essendo condizioni in genere più severe e cronicizzate. Pure in questi casi l’agopuntura diventa nel tempo sempre più efficace attraverso l’effetto “memoria”. Come detto sopra, il temporaneo aggravamento dei sintomi allergici dopo le prime sedute non va considerato come un’evenienza negativa, ma anzi positiva, indicando una reazione omeostatica (cioè di riequilibrio) del sistema immunitario.

Il mio protocollo di agopuntura e auricoloterapia nelle allergie

Proprio in considerazione delle aspettative dei pazienti, che spesso sono sorpresi dal fatto di dover effettuare un numero “eccessivo” di sedute, e per stimolarli a intraprendere questa straordinaria terapia millenaria, ho studiato nel corso degli anni un trattamento “integrato” di agopuntura e auricoloterapia che consenta di accorciare i tempi di risposta e ridurre il numero totale delle sedute. L’auricoloterapia si basa sul principio che esiste una precisa corrispondenza tra ogni regione del corpo umano e specifici punti del padiglione, secondo uno schema a feto rovesciato. Questi punti sono sensibili quando vengono premuti con uno specifico strumento (il palpeur), oppure possono essere evidenziati con un sistema di detezione elettronica, in quanto possiedono una minor resistenza elettrica al passaggio della corrente. Essi vengono poi stimolati in modo da agire sul cervello e sull’intero sistema nervoso, producendo effetti antiallergici. Nell’arco degli anni ho selezionato la combinazione di punti più efficace nelle allergie: si tratta di 5/6 punti posizionati su ciascun padiglione. Nel mio protocollo i punti dell’orecchio vengono infissi con sottilissimi aghi, più fini di quelli che posiziono sul corpo, e alla fine della seduta posiziono su ciascuno di essi piccole sferette vegetali, ricoperte da un cerotto, chiamate semi di Vaccaria.

I semi di Vaccaria permangono sul padiglione fino a 3 settimane, prolungando l’effetto della seduta: il paziente deve solo ricordarsi di stimolare ciascun padiglione auricolare per circa 30/40 secondi (applicando una pressione di 5 secondi circa su ogni punto, con un dito), 4 volte al giorno. Questa stimolazione domiciliare è molto importante, affinché il protocollo funzioni. Nelle forme lievi spesso bastano 3/4 sedute di questo tipo per domare l’allergia, le prime due a cadenza settimanale, le altre distanziate di circa 2 settimane l’una dall’altra. Nelle forme moderate-gravi occorrono in genere 5/6 sedute per ottenere effetti significativi, con la medesima cadenza descritta sopra. Come sempre, il protocollo si fonda su valutazioni statistiche, essendo comunque più o meno efficace a seconda della situazione individuale.  La combinazione di agopuntura e auricoloterapia, secondo la mia esperienza, è una delle cure più promettenti ed efficaci nel trattamento delle allergie, con un solo vincolo: la collaborazione attiva del paziente che deve stimolare scrupolosamente i punti auricolari.

 

 

 

 

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Infiammazione cronica di basso grado e agopuntura

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AGOPUNTURA E INFIAMMAZIONE

Oramai gli effetti dell’agopuntura su molteplici aspetti della salute sono noti al grande pubblico, mentre sono sicuramente meno conosciuti i suoi effetti sull’infiammazione. Questo non deve tuttavia stupire, se si considera quella che è la peculiarità dell’agopuntura, e più in generale della Medicina Tradizionale Cinese: il riequilibrio globale dell’organismo. Se paragoniamo l’insieme delle condizioni anatomiche e fisiologiche dei tessuti dell’organismo al “terreno” dove affondano le radici, risulta più semplice comprendere i concetti che ci accingiamo ad analizzare. La medicina funzionale parla anche di “matrice”, cioè della sostanza fondamentale in cui sono immerse le cellule, dalla quale esse traggono il nutrimento e le informazioni per un funzionamento ottimale. L’infiammazione comporta alterazioni molto profonde del terreno/matrice, che spesso rappresentano l’anticamera di patologie ben più gravi di natura degenerativa o tumorale. L’agopuntura che intenda riequilibrare in modo globale il funzionamento dell’individuo non può quindi prescindere dall’analisi del terreno dell’individuo.

Infiammazione cronica di basso grado 

In medicina, per definire le caratteristiche dell’infiammazione usiamo alcuni termini latini. Rubor, che significa arrossamento, si riferisce all’aumento dell’afflusso di sangue nella zona dell’infiammazione. Calor è il calore tipico delle zone infiammate, dove appunto arriva più sangue. Tumor significa gonfiore, in quanto si verifica una fuoriuscita di liquido dai vasi che imbeve i tessuti, aumentandone volume e consistenza. Il dolor (dolore) è il risultato della stimolazione dolorosa delle fibre nervose da parte delle sostanze infiammatorie rilasciate dalle cellule dell’infiammazione. Queste qualità sono ben percepibili tanto dal medico quanto dal paziente stesso: è il caso di una zona del corpo che subisca un trauma, oppure di un’area dove si manifesta un’infezione. Oggi però si attribuisce sempre più importanza a una forma di infiammazione più subdola, chiamata infiammazione cronica di basso grado, che per lo più non si vede in modo macroscopico, né si manifesta nel modo eclatante che abbiamo descritto, ma tende al contrario a ”mascherarsi” (per questo definita silente).  Solo se andiamo a ricercare in modo mirato le sue manifestazioni, spesso sotto forma di sintomi lievi, vaghi o indefiniti, allora riusciamo a coglierla. Questo nemico ruba silenziosamente pezzetti della nostra salute, producendo alterazioni microscopiche che possono essere evidenziata esclusivamente con indagini fini come il dosaggio della PCR ultrasensibile, o attraverso una disanima clinica scrupolosa e globale. Per un agopuntore è molto importante anche l’esame dei polsi e della lingua. Queste modificazioni dei tessuti, per quanto minime in una prima fase, si amplificano in modo progressivo, come un incendio, producendo, in tempi lunghi ma in modo inesorabile, gravi patologie cardiovascolari, degenerative e tumorali.

Le cause dell’infiammazione cronica di basso grado

Innanzitutto questa condizione patologica si evidenzia in modo più marcato nel corso dell’invecchiamento, per tre ragioni: 1) il progressivo accumulo, anno dopo anno,  di sostanze pro-infiammatorie e pro-ossidanti 2) la progressiva perdita di efficienza dei meccanismi in grado di contrastarle 3) l’effetto prolungato nel tempo di uno stile di vita malsano. Il termine “ inflammaging” è il termine moderno con cui si indica proprio l’infiammazione cronica di basso grado legata al progressivo invecchiamento. Ovviamente molto dipende dal contesto individuale, poiché possono esserci soggetti giovani in cui si osserva già un quadro di questo tipo, e viceversa persone anziane prive di questa condizione. L’invecchiamento si svolge dunque in modo sostanzialmente fisiologico se coltiviamo uno stile di vita sano lungo l’intero arco della nostra vita, possibilmente sin dall’infanzia. L’infiammazione cronica di basso grado si previene e si combatte soprattutto così. Ma vediamo ora quali sono i suoi segni distintivi e quali le cause.

Infiammazione cronica di basso grado: sintomi e cause

Essenzialmente, questo stato infiammatorio deriva da una produzione anomala di alcune sostanze infiammatorie, chiamate citochine. Si tratta di molecole prodotte da tutte le cellule del corpo umano per comunicare tra loro, e in particolare dalle cellule del sistema immunitario. Le citochine, una volta liberate nella matrice, si legano a speciali “antenne” situate sulla superficie delle cellule vicine – i recettori – influenzando il loro funzionamento. Anche i batteri che costituiscono il nostro microbiota intestinale inducono la continua produzione di citochine, che influenza non solo la mucosa intestinale e quindi i processi digestivi, ma tutto l’organismo: questo avviene attraverso l’intermediazione delle cellule del sistema immunitario che sono presenti in alto numero nella mucosa dell’intestino. Le citochine svolgono innumerevoli funzioni nel corpo umano, ma possiamo grossolanamente suddividerle in due categorie proprio sulla base dei loro effetti sull’infiammazione: pro-infiammatorie e antinfiammatorie. Favoriscono l’nfiammazione l’IL-2, IL-2,l’IL-6 e il TNF, mentre la contrastano l’IL-4, l’IL-10, gli interferoni e il TGF-beta. In un corpo sano questi due tipi di citochine sono in equilibrio, come i piatti della bilancia, mentre in un corpo infiammato quelle pro-infiammatorie prevalgono nettamente su quelle anti-infiammatorie. Le cause risiedono innanzitutto in cattive abitudini alimentari, come il consumo eccessivo di alcolici, cibi spazzatura, farine raffinate, dolci, bevande zuccherate. Il fumo di sigaretta è un’altra causa rilevante, così come la scarsa attività fisica. Pure lo stress e gli squilibri psico-emotivi promuovono lo stato infiammatorio. Ci sono anche cibi antinfiammatori, provenienti essenzialmente dal mondo vegetale (frutta, legumi, verdure etc…) ma pure dal mondo animale (un esempio per tutti gli omega 3 del pesce) che contrastano efficacemente l’infiammazione. In altre pagine abbiamo parlato dello stress cronico, della sindrome da stanchezza cronica, dell’insulino-resistenza e dell’acidosi tessutale: cosa accomuna tutte queste condizioni? Proprio l’infiammazione cronica di basso grado, che ne è la diretta conseguenza. Per quanto si riferiscano ad aspetti patologici diversi, tutte hanno in comune l’infiammazione dei tessuti, o in altri termini l’inquinamento della matrice. Per esempio, oggi è oramai acclarato che l’insulina svolge un’azione pro-infiammatoria su tutti i tessuti dell’organismo. Per quanto concerne lo stress, si verifica un incremento del cortisolo, che al contrario dell’insulina svolge un’azione anti-infiammatoria. Questo vale tuttavia solo nella prima fase dello stress, cioè nello stress acuto, mentre nello stress cronico il cortisolo altera il funzionamento del sistema immunitario, portando a uno sbilanciamento del sistema delle citochine in senso pro-infiammatorio: è così che si spiega l’aumento del rischio di malattie cardio-vascolari, degenerative e anche tumorali nelle persone affette dallo stress cronico. Veniamo ora ai sintomi dell’infiammazione cronica di basso grado, che sono al quanto sfumati, come abbiamo anticipato. A mio avviso, i sintomi neuro-psichici sono i campanelli d’allarme più significativi: ansia, preoccupazioni immotivate, tendenza alla depressione e all’apatia, irritabilità, alterazioni della memoria e della concentrazione, sensazione di nebbia mentale e insonnia. Le alterazioni del ritmo sonno-veglia sono nella mia esperienza i segnali più rilevanti, anche alla luce dei recenti studi scientifici, che le correlano a numerose alterazioni del sistema delle citochine. Non è poi un caso che tutte queste manifestazioni neuropsichiche siano estremamente simili a quelle che si verificano nel Covid e nel Long Covid per effetto della “tempesta citochinica”. Ci sono inoltre i sintomi connessi alle alterazioni del microbiota intestinale, quali dispepsia, acidità gastrica, reflusso gastro-esofageo, alterazioni dell’alvo, feci non formate, meteorismo, flatulenza, dolori addominali. Nei soggetti con infiammazione cronica di basso grado sono peraltro molto frequenti le intolleranze alimentari, proprio perché prevale una flora batterica incapace di processare determinati alimenti, con fenomeni di fermentazione e putrefazione che producono veri e propri veleni, come l’indolo, lo scatolo e le amine aromatiche. Come detto, una flora batterica disbiotica influenza poi in modo negativo il sistema immunitario della mucosa intestinale, e quindi tutto l’organismo, in virtù della connessione di questo sistema con tutte le altre stazioni linfatiche, anche quelle molto distanti. A questo proposito, non dimentichiamoci che l’intestino comunica continuamente con il cervello, influenzando i neurotrasmettitori. La stanchezza immotivata è un altro importante sintomo, poiché il metabolismo energetico cellulare è meno efficiente in corso di infiammazione cronica. In presenza di infiammazione cronica. Vi è anche una ridotta capacità difensiva dell’organismo, che è maggiormente predisposto alle infezioni e alle influenze stagionali. Degna di nota è pure la maggiore tendenza a percepire più intensamente ogni forma di dolore, poiché la concentrazione di serotonina del cervello tende a essere più bassa, anche per effetto della flora batterica intestinale patogena che tende a distruggerla.

Agopuntura e infiammazione

Oggi innumerevoli studi scientifici hanno dimostrato la capacità dell’agopuntura di influenzare positivamente il sistema delle citochine, incrementando quelle ad azione anti-infiammatoria, e riducendo quelle pro-infiammatorie. Nello specifico, sono stati appurati benefici effetti sul sistema immunitario, che risulta potenziato da questa terapia: per esempio, si osserva una maggiore efficienza delle cellule Natural Killer (NK), quelle che distruggono anche le cellule tumorali, così come dei linfociti, dei macrofagi e dei granulociti neutrofili. Il risultato è duplice: da un lato, per effetto dell’ agopuntura, possiamo difenderci meglio dalle aggressioni esterne e dalle proliferazione delle cellule tumorali, dall’altro le cellule del sistema immunitario sono stimolate a rilasciare in modo perfettamente bilanciato le citochine. L’agopuntura riequilibra in modo molto potente la produzione di cortisolo agendo sull’asse ipotalamo-ipofisi-surrene, cioè su quel sistema di  segnali che il cervello invia  alle ghiandole surrenali per innescare il rilascio di questo ormone. La capacità dell’agopuntura di riequilibrare il sistema nervoso autonomo contribuisce a ridurre i meccanismi dello stress,  soprattutto quello cronico, il più insidioso: nello specifico, attraverso gli aghi possiamo incrementare l’attività calmante del sistema parasimpatico e ridurre quella eccitatoria del sistema ortosimpatico. L’agopuntura si è anche rivelata idonea a frenare l’insulino-resistenza che è una delle cause dirette dell’infiammazione cronica di basso grado. Pure l’azione dell’agopuntura sul microbiota intestinale e’ significativa attraverso plurimi meccanismi, che vanno dalla riduzione dell’ansia e dello stress al miglioramento dei processi digestivi e dell’elaborazione dei cibi, contemplando anche una peristalsi più dolce e fisiologica. In sostanza, l’agopuntura sembra davvero agire un po’ a tutti i livelli dell’infiammazione cronica di basso grado, sia sulle cause (effetti sulle citochine, sullo stress, sul microbiota etc…) sia mitigando molti dei suoi sintomi, come l’ansia, la depressione, la difficoltà di concentrazione, la nebbia mentale e l’insonnia. Per quanto riguardo l’ansia, ho scritto nel 2017 un intero libro su questo tema, descrivendo tutti gli effetti dell’agopuntura anche alla luce dei recenti studi di neuroscienze. Attraverso l’agopuntura è possibile accrescere la propria energia sentendosi meno stanchi e, come detto, la propria resistenza alle infezioni. Gli effetti sul sistema gastrointestinale sono anch’essi vistosi: munore acidità e reflusso, un alvo più regolare e una digestione generale più agevole, con un incremento della tolleranza ai cibi verso cui il soggetto era in precedenza intollerante.  In conclusione, abbinando all’agopuntura un’alimentazione sana e uno stile di vita corretto è davvero possibile prevenire e curare l’infiammazione cronica di basso grado che, sempre più, si sta rivelando una delle più grandi piaghe della nostra società moderna.

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Sindrome post-COVID: la cura con agopuntura a Torino

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LA SINDROME POST-COVID

Come purtroppo tutti noi sappiamo, l’infezione da SARS-CoV-2 può determinare una malattia chiamata COVID che decorre in modo differente nei vari individui, talvolta in forme severe con le caratteristiche della polmonite interstiziale bilaterale, ma spesso in modo asintomatico o comunque lieve. Quello che non tutti sanno è invece che anche in quest’ultimo caso possono insorgere danni documentabili a carico di diversi organi, in particolare ai polmoni, al cuore, al sistema nervoso e ai reni. Queste sequele sono responsabili di sintomi di vario tipo anche dopo la guarigione dall’infezione, e  prendono il nome di sindrome post-COVID. Talvolta i sintomi persistono per più di 2 mesi dall’infezione iniziale, e in questo caso si parla di long-COVID. Tra i  fattori di rischio di questa sindrome, ad oggi,  sono stati identificati l’ipertensione, l’obesità e alcuni disturbi psichiatrici.

Le manifestazioni cliniche della Sindrome post-COVID

Anche dopo la guarigione dall’infezione acuta, nel corpo di alcuni soggetti continuano dunque a persistere alterazioni più o meno gravi, derivanti essenzialmente dai danni infiammatori prodotti dalla ben nota proteina Spike. In particolare, nel COVID si verificano alterazioni dei piccoli vasi, con un’infiammazione delle loro pareti e un restringimento del lume, da cui deriva un danno ischemico e una carente ossigenazione dei tessuti. Spesso si formano anche trombi nei piccoli vasi, con distacco di emboli che ne occludono il lume. C’è poi sicuramente il fatto che il COVID rappresenta uno stress rilevante per l’organismo, sia a livello fisico che psichico. Molti possono essere i sintomi della Sindrome post-COVID, ma alcuni di questi sono particolarmente frequenti. In cima alla lista c’è sicuramente l’astenia profusa, a volte così intensa che l’individuo non si riconosce più: “non sono più quello di prima”.  L’astenia può assumere le caratteristiche della sindrome da stanchezza cronica, che è una vecchia conoscenza della medicina: da tempo sappiamo infatti che diverse infezioni virali – come quelle da mononucleosi – possono esitare in questa complicanza. Altre volte c’è la mancanza di fiato, che spaventa molto soprattutto chi prima era in grande forma fisica, magari un’atleta, che ora non riesce più nemmeno a salire due rampe di scale senza avere il fiatone. In questo caso può esservi una tosse di accompagnamento. Il danno cardiaco può invece manifestarsi con aritmie o dolori al petto. Anche i dolori muscolari sono frequenti, poiché l’infezione induce un’infiammazione rilevante anche dei muscoli, con un danno che persiste anche oltre la guarigione dell’infezione. Il mal di testa è un ulteriore sintomo estremamente comune, anch’esso inspiegabile per il soggetto, che magari non aveva mai sofferto. Ci sono poi la mancanza di gusto e olfatto, che possono protrarsi per molti mesi, e che in alcuni individui non regrediscono completamente. Essendo poi l’apparato gastro-enterico uno dei bersagli dell’infezione, non mancano spesso la nausea, l’inappetenza o i dolori addominali. Si può arrivare anche a veri e propri stati depressivi, con apatia e abulia, insonnia e difficoltà di concentrazione, oltre all’astenia già descritta. Dopo la guarigione dal COVID, può anche manifestarsi una consiste perdita di capelli, o l’aggravamento di un’ alopecia. La sindrome post-COVID è tendenzialmente più severa in chi ha contratto una forma grave di COVID, ma come abbiamo detto può manifestarsi anche dopo infezioni lievi e persistere anche per molto tempo.

LA TERAPIA CON AGOPUNTURA

Veniamo ora alla terapia, che ovviamente non è ancora stata delineata nel dettaglio, essendo la sindrome di recente individuazione. I presidi sono per lo più sintomatici, diretti cioè a trattare il sintomo o i sintomi di volta in volta prevalenti: gli integratori a base di aminoacidi e vitamine in caso di astenia, la fisioterapia respiratoria nella dispnea, la riabilitazione del gusto e olfatto , gli antidepressivi se il calo dell’umore è marcato, e così via. Nel panorama delle cure disponibili, l’agopuntura è una terapia estremamente valida e promettente, che ha il pregio, ancora una volta, di essere olistica. Il suo raggio di azione si estende un po’ a tutte le funzioni e a tutti gli apparati, migliorando l’energia,  la forza e la resistenza fisica complessiva, tanto a livello fisico quanto a livello mentale. L’agopuntura favorisce la produzione di neurotrasmettitori cerebrali, come la serotonina, influenzando favorevolmente l’umore, il sonno e la memoria, e contemporaneamente riducendo le manifestazioni d’ansia. Questa cura favorisce persino la plasticità neuronale, attraverso la produzione di fattori neurotrofici come il BDNF che stimolano la formazione di nuove sinapsi. Gli effetti sul sistema nervoso possono quindi essere di grande giovamento anche per il pronto recupero del gusto e dell’olfatto. L’agopuntura è un grande regolatore della funzionalità gastro-intestinale, riducendo la nausea, i bruciori allo stomaco e le alterazioni intestinali. Anche la dispnea può essere sensibilmente attenuata dopo un ciclo di agopuntura. Il tutto senza alcun rilevante effetto collaterale. In conclusione: nella sindrome post-COVID usiamo l’agopuntura, e usiamola il più possibile.

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La sindrome del muscolo tensore del timpano: a Torino si cura con l’agopuntura

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SINDROME DEL MUSCOLO TENSORE DEL TIMPANO

Rieccoci con un nuovo articolo, e con una nuova sindrome da conoscere. Sin dai tempi dell’Università sono stato sempre affascinato dalle sindromi, cioè da quell’insieme di sintomi che spesso rientrano sotto il nome del loro scopritore, o che comunque hanno un nome bizzarro. Andiamo oggi a conoscere questa sindrome, e soprattutto scopriamo come l’agopuntura può rappresentare una terapia molto valida per risolverla. Denominata anche TTTS (Tensor Tympani Tensive Syndrome), è considerata alquanto rara, ma la sua incidenza potrebbe essere ben superiore a quanto pensiamo, in considerazione della sua rilevante importanza nella fisiologia umana. A soffrire è un piccolo muscolo che pone in comunicazione la parte superiore della faringe con l’orecchio medio: il muscolo tensore del timpano.

L’ANATOMIA DEL MUSCOLO TENSORE DEL TIMPANO

Questo piccolo muscolo origina nel tetto del faringe, contraendo intimi rapporti con i muscoli faringei e con il muscolo elevatore del velo palatino. Il suo ventre muscolare si pone in relazione con la porzione squamosa dell’osso temporale, collocandosi in una doccia., e da  qui prosegue all’interno di un canale osseo, portandosi verso l’orecchio medio, dove si inserisce sul manico del martello, l’ossicino che è attacco alla membrana timpanica (conosciuta anche semplicemente come timpano).

LA FISIOLOGIA DEL MUSCOLO TENSORE DEL TIMPANO

Il compito di questo muscolo è duplice. Da un lato protegge l’orecchio dai rumori prodotti dalla masticazione, che per motivi di vicinanza verrebbero “amplificati” tanto da essere percepiti come insopportabili, se non vi fosse appunto questo muscolo che, contraendosi, tende il timpano proteggendolo dalle vibrazioni. Dall’altro lato entra in azione quando vi è un rumore ambientale troppo forte: anche in questo caso incrementa la tensione della membrana timpanica, filtrando le sonorità ambientali, che diventano così tollerabili e percepibili. Ecco perché, uscendo da una discoteca, si percepisce un acufene ad alta frequenza sotto forma di “fischio”: la membrana timpanica, per qualche ora, resta in uno stato di tensione.

LA SINDROME DEL MUSCOLO TENSORE DEL TIMPANO

Per svariate ragioni, il muscolo tensore del timpano può sviluppare una tensione di carattere patologico oppure improvvisi spasmi (in altri termini repentine contrazioni), questi ultimi percepiti spesso come schiocchi o scoppiettii. L’eccessiva tensione del muscolo si ripercuote poi sulla percezione dei suoni e dei rumori. In primo luogo, il sistema di trasmissione dei suoni diventa rigido per l’eccessiva tensione della membrana timpanica e della catena degli ossicini: ne deriva una difficoltà a comprendere il linguaggio parlato o senso di ovattamento auricolare. Oltre che indeboliti, i segnali uditivi possono anche essere distorti, risultando fastidiosi e disturbanti, fenomeno denominato iperacusia. Infine la capacità di filtrare i suoni ambientali può essere compromessa, con la comparsa di suoni disturbanti a bassa o alta intensità, cioè dei ben noti acufeni. Oltre che determinare sintomi uditivi, questa sindrome si caratterizza anche per altri sintomi, che sono dovuti all’accumulo di acido lattico all’interno del muscolo, in particolare dolore di tipo trafittivo in corrispondenza dell’occhio o subito dietro ad esso (retrobulbare), che può anche talora simulare un’emicrania.

LE CAUSE DELLA SINDROME DEL MUSCOLO TENSORE DEL TIMPANO

Vediamo ora quali sono i motivi per cui il muscolo tensore del timpano può entrare in uno stato di contrattura patologica. Il muscolo tensore del timpano condivide con i muscoli masticatori la medesima origine embriologica dalla prima tasca del primo arco branchiale. Questo ci fa capire quanto la masticazione e l’articolazione temporo-mandibolare (ATM) siano funzionalmente correlate all’udito: condizioni come le malocclusioni e il bruxismo, attraverso microtraumi, possono comportare un iper-lavoro del muscolo tensore del timpano per “assorbire” i rumori e le vibrazioni che altrimenti sarebbero intollerabili. Ricordiamoci infatti che essi verrebbero inevitabilmente amplificati, essendo molto vicini alla catena degli ossicini e ai recettori uditivi cocleari. Anche le distonie neurovegetative, cioè le alterazioni funzionali del sistema nervoso autonomo derivanti da condizioni di ansia e di stress, possono comportare uno spasmo del muscolo del tensore del timpano. Lo stress e l’ansia sono del resto chiamate in causa anche nella genesi del bruxismo, che rappresenta come detto una delle cause della sindrome. Queste condizioni psicoemotive le riscontriamo poi anche nella cervicalgia tensiva, che insieme alla cefalea tensiva, al bruxismo, alle malocclusioni e alle patologie dell’ATM rientra nella famiglia delle disfunzioni cranio-cervico-mandibolari (DCCM): e non a caso nei DCCM si osserva frequentemente anche la sindrome del tensore del muscolo del timpano. Insomma, sembra essere un po’ tutto collegato: tensioni psicoemotive, tensioni muscolari e tensioni del sistema uditivo fanno tutte capo all’ansia e allo stress. Naturalmente, anche le posture errate possono concorrere a queste tensioni.

La terapia della sindrome del tensore del timpano e l’agopuntura

Non esiste una terapia medica univoca per questa sindrome. Per lo più sono utilizzate benzodiazepine e miorilassanti, che hanno l’obiettivo di tranquilizzare il paziente – che spesso come abbiamo visto mostra segni di stress – e allentare la tensione sul timpano. L’agopuntura rappresenta un’ottima opzione terapeutica per questa sindrome, esercitando innumerevoli effetti terapeutici ad ampio spettro. L’azione miorilassante dell’agopuntura è ad esempio documentata, e possiamo sfruttarla per decontrarre, oltre al muscolo tensore del timpano, anche la muscolatura masticatoria e cervicale che, come abbiamo visto, sono spesso sofferenti. In effetti l’agopuntura è una terapia valida anche per la cervicalgia tensiva e il bruxismo. L’agopuntura esercita poi una profonda azione di regolazione del sistema nervoso centrale, risolvendo la sottostante condizione di stress e ansia. Va infine menzionata la possibilità di ricalibrare – attraverso l’agopuntura – il sistema nervoso autonomo, ristabilendo un perfetto equilibrio tra il sistema orto e parasimpatico.

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Agopuntura e acufeni: a Torino una cura efficace

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Agopuntura e acufeni

Abbiamo descritto in un precedente articolo cosa sono gli acufeni, quali sono le cause e come possono essere diagnosticati. Abbiamo anche spiegato che in una rilevante quota di soggetti gli acufeni sono idiopatici, non riconoscendo alcuna causa evidente. Il trattamento degli acufeni è da sempre problematico, per il medico di famiglia, per lo specialista, e per qualunque medico. Oggi però le neuroscienze ci aiutano a comprendere quali sono i meccanismi sottostanti, e quali sono le terapie potenzialmente utili. Tra queste vi è certamente l’agopuntura, ma a certe condizioni.

L’agopuntura nell’acufene tra teoria e pratica

La Medicina Tradizionale Cinese (MTC) descrisse nel dettaglio gli acufeni oltre Duemila anni fa, classificandoli in relazione al quadro energetico sottostante. Sono numerosi i punti di agopuntura studiati dalla MTC e che hanno come indicazione l’acufene: molti di questi punti, ad esempio, agiscono sul Vento patogeno, che spesso è di origine interna, “sollevandosi” dal Fegato per effetto di Emozioni disturbanti come la rabbia e la collera. Questi acufeni, che possiedono una tonalità acuta che ricorda un fischio, sono quelli che nella mia esperienza hanno maggiori probabilità di attenuarsi per effetto dell’agopuntura. Questo non deve stupirci, poiché l’agopuntura riequilibra la sfera psico-emotiva, spesso secondo una tempistica molto rapida: dovendo quindi scegliere quali acufeni trattare, indirizzerei certamente i miei sforzi sulla tipologia descritta. Per altri tipi di acufeni, che dal punto di vista della MTC sono espressione di un deficit energetico più profondo, come quello di Rene (in questo caso l’acufene ricorda lo scorrere dell’acqua) il trattamento è probabilmente più ostico, e richiede un trattamento decisamente più lungo. Poiché alla base degli acufeni esiste sempre una disfunzione energetica che può essere corretta, in MTC non vi sono ostacoli insormontabili nel trattamento degli acufeni, se non il già citato fattore tempo che può anche essere molto lungo. Dal punto di vista empirico,  un paziente spesso sull’orlo della disperazione è poco incline ad attendere mesi e mesi prima di apprezzare benefici tangibili. Ecco perché a mio avviso occorrono ulteriori parametri per selezionare in modo accurato i pazienti da trattare, e soprattutto per motivarli. Proviamo a partire dalla domande che più spesso mi pongono i pazienti, traendo da esse spunto per affrontare il discorso anche da un punto di vista scientifico.

Dottore, quando passerà questo fischio?

Per guarire, bisogna da subito abbandonare le aspettative irrealistiche e, soprattutto, cambiare approccio psicologico. “L’acufene sparirà progressivamente, ma non come lei pensa. Si attenuerà finché se ne dimenticherà”. Questo in effetti è quello che accade nella maggioranza dei casi: non c’è un tasto off che per magia disattiva l’acufene. Questo in agopuntura può accadere nel dolore acuto, ma non in una patologia come l’acufene, dove invece vale la legge: meno ci penso, meno lo sento. Un’altra conferma di questa verità viene dai pazienti guariti dall’acufene, che dopo stati trascinati sull’orlo della disperazione, ad un certo punto, mesi o anni dopo affermano: “in effetti non ci ho più pensato”. Ecco come scompaiono gli acufeni: quando non gravitano più intorno alla sfera della consapevolezza. Per questa stessa ragione, meglio non indirizzare l’agopuntura al trattamento esclusivo degli acufeni, ma curare tutti gli altri disturbi che il paziente ci presenta, ignorando il più possibile gli acufeni. Questo in agopuntura è possibile utilizzando punti con azioni multiple, che agiscono su un problema e che contemporaneamente trattano l’acufene. Spesso, tra l’altro, il quadro energetico sottostante è il medesimo. Così il paziente non ha la sensazione di spendere inutilmente denaro, perché comunque sta curando proficuamente altri problemi. Soprattutto, con questo approccio,  si distoglie poi l’attenzione del soggetto dal sintomo disturbante, depotenziandolo. In questo modo, magicamente, può accadere che l’acufene scompaia!

Quante sedute ci vogliono per avere un effetto?

Tra successi e insuccessi, ho imparato un’altra regola empirica: il trattamento degli acufeni funziona meglio se non ci si pone alcun limite di sedute. Quando ho iniziato a praticare l’agopuntura, diversi anni or sono, proponevo spesso ai pazienti un tentativo terapeutico di tre sedute, mentre oggi ho rivisto in modo radicale questo approccio. Poiché spesso nell’acufene cronico vi è un’attivazione delle risposte di stress e ansia, meglio non esasperare queste reazioni, inducendo aspettative circa l’esito della terapia. Al contrario, è più opportuno liberare il paziente da inutile attese e verifiche, infondendogli comunque fiducia, anzi la certezza che comunque l’agopuntura produrrà innumerevoli effetti benefici a livello del sistema nervoso. Si procede così con un ciclo di dieci sedute, una alla settimana, seguito da una seduta mensile di mantenimento. Del resto, affinché si realizzi il fenomeno della neuroplasticità – cioè la formazione di nuove sinapsi in grado di rimpiazzare quelle patologiche – occorre un po’ di tempo. Naturalmente puo’ anche succedere che l’acufene regredisca dopo poche sedute, soprattutto quando possiede una tonalita’ alta.

Secondo lei l’agopuntura nel mio caso può essere utile?

Sulla base del modello di interpretazione dell’acufene che ho esposto nell’articolo precedente, le condizioni in cui l’agopuntura può avere maggiori probabilità di successo sono quelle in cui vi sono evidenti risposte di ansia e di stress. Sono queste, infatti le principali responsabili del fenomeno della progressiva centralizzazione dell’acufene e della sua cronicizzazione. Se il paziente mostra queste reazioni disfunzionali, la risposta alla sua domanda è decisamente affermativa. Occorre però aiutare il paziente a distrarre la mente dal sintomo, spiegandogli in dettaglio il problema dal punto di vista neuroscientifico, e quali sono i pensieri, le emozioni e i comportamenti che lo alimentano. Nei casi più impegnativi, la psicoterapia cognitivo-comportamentale – che utilizziamo nella mia équipe di lavoro – può integrare proficuamente l’agopuntura. Nel caso non vi sia un’evidente condizione di ansia o di stress, la risposta all’agopuntura sarà probabilmente meno brillante, e l’agopuntura dovrà probabilmente integrarsi con altre tecniche come quelle di “mascheramento” dell’acufene. Quest’ultima tecnica, per i curiosi, consiste nell’esposizione ad un suono neutro che non disturba il soggetto e che riesce a neutralizzare l’acufene, portandolo in sottofondo. Con il tempo, le aree del cervello iperattive si calmano, e l’acufene perde per così dire la sua potenza.

In conclusione…

L’agopuntura è una terapia ragionevole per l’acufene, esercitando una potente azione di neuromodulazione. Nello specifico, le evidenze scientifiche supportano il suo utilizzo soprattutto quando l’acufene si associa ad una condizione di ansia e/o stress. Anche nelle altre situazioni può essere utile, in associazione ad altre tecniche come quelle di mascheramento.

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L’agopuntura a Torino per la terapia degli acufeni

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ACUFENE E AGOPUNTURA

 

 

L’acufene – o tinnito – è una percezione uditiva anormale, in assenza di un rumore o suono proveniente dall’esterno. Tale percezione consiste spesso in un fischio, altre volte in un ronzio, o ancora in uno scricchiolio, o uno scroscio, oppure una pulsazione. Attraverso appositi esami di pertinenza specialistica – quali l’audiometria e l’impedenzometria – in diversi casi è possibile documentare un danno del sistema uditivo, ma esiste comunque una quota rilevante di pazienti affetti da acufene idiopatico, in cui la causa è sconosciuta. L’acufene, soprattutto quello idiopatico, è tipicamente poco responsivo agli interventi medici, tuttavia, in alcune condizioni selezionate che descriveremo oltre, l’agopuntura può contribuire a curare con successo questa condizione tanto diffusa quanto spesso invalidante. Quali sono le situazioni che possono beneficiare dell’agopuntura? Come agisce questa terapia? Scopriamolo passo dopo passo.

ALLE ORIGINI DEL PROBLEMA

L’acufene è il risultato della stimolazione patologica delle vie uditive lungo il loro intero decorso, dal timpano fino ad arrivare alla corteccia cerebrale. Fisiologicamente i suoni vengono raccolti dal condotto uditivo esterno, giungendo a stretto contatto con la membrana del timpano, facendola vibrare. Le onde di vibrazione si trasmettono attraverso la catena degli ossicini alla coclea, dove ci sono i recettori acustici, che trasformano gli impulsi vibratori di tipo meccanico in impulsi elettrici. Entra quindi in gioco il sistema nervoso, che attraverso il nervo acustico porta gli impulsi alle strutture deputate alla loro elaborazione e alla loro decodifica. A livello della corteccia cerebrale uditiva e delle cosiddette aree corticali associative i segnali diventano percezione cosciente. L’acufene è un fenomeno che non segue la sequenza di eventi descritta: è quindi un fenomeno disfunzionale, che non ha una funzione biologica. Come detto, non corrisponde generalmente ad un suono/rumore applicato dall’esterno, ma è il risultato di una stimolazione non fisiologica di una parte del sistema uditivo.

ACUFENE E DANNO UDITIVO

Dove origina esattamente l’acufene? Quale parte del sistema uditivo è stimolata in modo inappropriato? Di fronte ad un acufene la prima cosa da fare è escludere le cause più comuni e più banali, come il tappo di cerume: attraverso l’otoscopio qualunque medico – compreso il medico di famiglia – è in grado di formulare la diagnosi. Se non è presente materiale patologico visibile all’otoscopia, è necessario esaminare la funzionalità uditiva attraverso due esami specifici di pertinenza specialistica otorinolaringoiatrica: l’audiometria e l’impedenzometria. Non di rado gli acufeni derivano infatti da un danno del sistema uditivo, di origine traumatica, infiammatoria o degenerativa. Quando il soggetto non riesce più a percepire alcune specifiche frequenze acustiche, il cervello cerca di compensare tale perdita sostituendola appunto con un altro suono svincolato dai suoni esterni, fisso e disturbante. Queste condizioni sono diagnosticabili, e anche trattabili in alcuni casi, attraverso l’applicazione di protesi che possono migliorare la funzionalità uditiva.

ACUFENE ED ESPOSIZIONE A SUONI E RUMORI

L’esposizione inappropriata e prolungata a forti rumori e suoni, per motivi professionali e non, è una causa frequente di danno uditivo e acufene. In particolare, meritano di essere menzionati l’ascolto della musica ad alto volume, l’uso di macchine agricole o da giardinaggio, le esplosioni e i rumori da arma da fuoco. Anche l’uso smodato del cellulare senza l’utilizzo degli auricolari o del vivavoce possono causare un danno del nervo acustico, a causa del surriscaldamento operato dalle micro-onde del dispositivo. In questi casi il problema è reversibile se s’interrompe l’esposizione e si cambiano abitudini di vita.

CAUSE PERIFERICHE E CENTRALI

CAUSE PERIFERICHE

La stimolazione di una delle stazioni del sistema uditivo può riconoscere svariate cause e possiede caratteristiche molto diverse da soggetto a soggetto. Il problema può originarsi nelle regioni più periferiche del sistema uditivo: dal semplice cerume che stimola in modo patologico le vie uditive attraverso una pressione sulla membrana del timpano, alle patologie infiammatorie del sistema del timpano e della catena degli ossicini, tra cui le ben note otiti. Oppure può derivare dalla presenza di muco a livello dell’orecchio medio, spesso per un’ostruzione della tuba di Eustachio: quest’ultima pone infatti in comunicazione l’orecchio medio con il tetto delle cavità nasali, per cui – in caso di ostruzione – non è in grado di far defluire il muco verso le cavità nasali. In tutti questi casi, oltre all’acufene, vi è spesso una riduzione più o meno marcata dell’udito, che può essere diagnosticata attraverso gli appositi esami uditivi, in particolare l’impedenzometria, che attesta una compromissione dell’efficienza del timpano e/o della catena degli ossicini. Il sistema uditivo può però essere perturbato anche da cause per così dire invisibili, come farmaci, infezioni o condizioni generali di carattere metabolico o infiammatorio che alterano la struttura e/o la funzione di una parte del sistema uditivo. Le cause suddette possono generare la perdita di una quota delle cellule acustiche della coclea, con ipoacusia e acufeni. Talvolta l’eziologia è sconosciuta, e anche il fisiologico invecchiamento rappresenta spesso un’importante concausa: in ogni caso, tale perdita può comunque essere diagnosticata accuratamente attraverso l’audiometria.

CAUSE CENTRALI

Oltre alle patologie che danneggiano la parte periferica del sistema uditivo, esistono anche condizioni più rare che possono interessare le vie uditive centrali: si va dalle patologie circolatorie, come la comune aterosclerosi specie in età avanzata, a quelle degenerative come la sclerosi multipla, fino ad arrivare a quelle tumorali. Tra queste, va menzionato il neurinoma del nervo acustico, un tumore benigno che ha origine dalla guaina del nervo e che comporta – oltre al sintomo acufene – anche una riduzione dell’udito monolaterale e disturbi dell’equilibrio (raramente vertigini).

GLI ACUFENI OGGETTIVI

Vi sono condizioni piuttosto rare in cui gli acufeni corrispondono a suoni e rumori realmente prodotti dalle strutture che si trovano vicino alla catena degli ossicini e alla coclea: essi possono anche essere percepiti da altri soggetti o dal medico attraverso l’uso del fonendoscopio.

SINDROME DEL MUSCOLO TENSORE DEL TIMPANO

Dobbiamo pensare che tutte le vibrazioni patologiche dei tessuti che si trovano vicino alla catena degli ossicini e alla coclea vengono “amplificati” in misura enorme, e verrebbero uditi tanto intensamente da farci letteralmente impazzire. Se ciò non accade è perché esiste un sistema di regolazione interno capace di ridurre la sensibilità del sistema timpano-catena degli ossicini: è per questa ragione che i suoni che derivano dalla masticazione ci disturbano minimamente o non ci disturbano affatto. Si tratta del muscolo tensore del timpano, che entrando in funzione irrigidisce il sistema descritto e lo rende meno sensibile ai rumori del microambiente circostante. Se però i rumori legati alla masticazione sono esagerati, il muscolo tensore del timpano entra in uno stato di contrattura patologica, oppure sviluppa spasmi intermittenti: parliamo di sindrome distonica del tensore del timpano. Non ci soffermiamo oltre nella descrizione di questa sindrome, avendo dedicato ad essa un intero articolo che e’ disponibile nella sezione News del mio sito.

PATOLOGIE DELL’ARTICOLAZIONE TEMPORO-MANDIBOLARE (ATM)

L’ATM è situata in stretta prossimità anatomica con l’orecchio, per cui gli attriti patologici tra il condilo della mandibola e l’osso temporale possono facilmente tradursi in acufeni. L’ATM è poi correlata, dal punto di vista funzionale e posturale, al sistema muscolare cervicale: si parla pertanto di disfunzioni cranio-cervico-mandibolari, il cui elemento distintivo sono le alterazioni dell’ATM e gli acufeni da un lato, e le tensioni muscolari dall’altro, che possono propagarsi in senso discendente alla regione cervicali. Le contratture del trapezio che alcuni soggetti accusano al risveglio mattutino sono altamente suggestivi di queste disfunzioni, soprattutto quando si associano a dolenzia e irrigidimento alle mascelle.

FATTORI MICROVASCOLARI E MICROATTRITI

Ci sono individui in cui l’acufene si manifesta con una pulsazione ritmica con il battito cardiaco, senza tuttavia che sia riconoscibile alcuna patologia cardiaca o dei vasi. A volte è interessato infatti il microcircolo, cioè la rete di minuti e invisibili vasi che avvolge, nutrendole, le strutture del sistema uditivo. Per molteplici ragioni, che includono fattori tossiemici locali o sistemici, oppure cause meccaniche, o ancora distonie di tipo neurovegetativo, cioè alterazioni dell’equilibro tra simpatico e parasimpatico derivanti da condizioni di stress protratto, si produce un’alterazione del diametro dei microvasi. Al loro interno il flusso di sangue può così diventare turbolento ed essere “amplificato” dal sistema timpano-catena ossicini, causando un fastidioso acufene. Tale acufene possiede tipicamente le caratteristiche di una pulsazione sincrona con il battito cardiaco, proprio perché deriva da una turbolenza che ha la sua massima intensità nella fase sistolica del ciclo cardiaco. Pure gli scricchiolii e gli scrosci percepiti da alcuni pazienti possono avere la medesima origine: tali acufeni possono derivare però anche da altri fattori meccanici, come contrazioni muscolari inappropriate del muscolo tensore del timpano, attriti patologici tra le microstrutture che costituiscono il sistema uditivo, o ancora alterazioni del flusso dell’endolinfa presente nella coclea uditiva. Il concetto chiave da comprendere è che tutti questi micro-rumori, a prescindere da come si generino, vengono “amplificati” a dismisura proprio perché estremamente vicini ai recettori uditivi, diventando percezioni anomale disturbanti. In alternativa, vengono “bloccati” grazie al muscolo tensore del timpano, che però alla lunga entra in uno stato spatico o si indebolisce, comportando, come abbiamo visto, alcuni sintomi tra cui gli acufeni.

L’INTERPRETAZIONE DELL’ACUFENE IDIOPATICO

Al di là delle condizioni menzionate, che possono essere agevolmente diagnosticate sulla base del quadro clinico e degli esami specialistici, l’acufene, in una quota rilevante di casi, non riconosce un’origine precisa e viene definito idiopatico: sono questi i casi che portano spesso il paziente alla disperazione, poiché non spesso non si risolvono e tendono a cronicizzare, compromettendo in modo significativo la qualità della vita. Mi sono chiesto a lungo come inquadrare tali problematiche, ed oggi, dopo venti anni di pratica clinica, posso dire di saperne molto più di un tempo. In particolare, mi ha molto aiutato la visione olistica insita nella Medicina Tradizionale Cinese, oltre alla proficua collaborazione con altri professionisti che si occupano a vario titolo di acufeni, e che oggi fanno parte della mia équipe multidisciplinare. Non sappiamo con esattezza dove si collochi il danno iniziale, ma è plausibile che il meccanismo di formazione dell’acufene somigli a quello di un incendio, che dal punto iniziale si allarga in maniera crescente ed inarrestabile. E’ inoltre probabile che la genesi dell’acufene si collochi nella maggior parte dei casi nella periferia del sistema uditivo, o comunque nelle regioni sottocorticali, sotto forma di un danno di lieve entità. Da qui raggiunge- un po’ alla volta, giorno dopo giorno, in modo subdolo – la corteccia cerebrale, alterando il sistema percettivo, cognitivo ed emotivo dell’individuo. Si tratta di un meccanismo di centralizzazione, in cui l’acufene altera in modo permanente il funzionamento del sistema nervoso centrale. Vi è cioè un momento fondamentale in cui l’acufene rende iperattive alcune popolazioni di neuroni, in modo sempre più ramificato e capillare, dapprima a livello delle strutture nervose uditive del cervello, e poi anche a livello delle aree associative che sono collegate con esse.

Dalla fisiologia alla patologia

Fisiologicamente, i segnali elettrici prodotti a livello dei recettori cocleari vengono trasportati, attraverso il nervo acustico – che è l’ottavo paio di nervi cranici – al tronco encefalico, e da qui al talamo, raggiungendo infine la corteccia uditiva situata nel lobo temporale. Per ogni frequenza uditiva, esiste uno specifico circuito: quando questo circuito viene interrotto, per cause spesso in apparenti e clinicamente invisibili (piccole ischemie, fattori tossici sistemici, banali infezioni), i relativi neuroni emettono un segnale elettrico patologico, che corrisponde alla percezione dell’acufene. Questo fenomeno ricorda da vicino il fenomeno dell’arto fantasma, consistente nella percezione di un arto che è stato amputato: si tratta anche in questo caso di circuiti interrotti, che inviano al sistema nervoso centrali segnali assurdi e privi di senso. L’acufene consiste dunque in un suono fantasma in assenza di stimolo, senza cioè una sorgente sonora esterna: lungo la via uditiva che abbiamo descritto, ci sono neuroni costantemente iperattivi che emettono un falso segnale. Questo segnale, quando si propaga anche ad altre aree del cervello definite “associative”, assume un particolare significato cognitivo ed emotivo: questa fase corrisponde all’aggravamento finale dell’acufene, quello che rovina la vita del paziente. Alla base della centralizzazione dell’acufene vi sono essenzialmente le risposte di stress e di ansia, che catalizzano in modo continuo e inappropriato l’attenzione del paziente verso questo segnale fantasma, decodificandolo come un segnale di pericolo potenziale. Le neuroscienze ci insegnano che il sistema limbico, ed in particolare l’amigdala, diventano iperattivi di fronte ad una minaccia potenziale, allertando tutti i sistemi dell’organismo e preprandoli alla “lotta-fuga”: quando questo accade, l’individuo diventa iper-vigile ed attentissimo ai segnali provenienti dal mondo esterno o anche semplicemente dal proprio corpo. Se potessimo osservare in vivo il cervello, potremmo assistere ad un vero e proprio “incendio” nel sistema nervoso, consistente in un’iperattivazione generalizzata della corteccia cerebrale. Ebbene, negli individui sottoposti a stress elevato, o che soffrono di ansia, l’insorgenza un acufene innocente può essere percepito come un segnale di pericolo, e produrre un circolo vizioso in cui i neuroni diventano sempre più eccitabili, con un’amplificazione esponenziale del segnale iniziale. Spesso in questi soggetti subentra la paura di non guarire più, o che l’acufene possa letteralmente farli impazzire o distruggere la loro vita, o ancora uno stato di depressione: questi vissuti indicano che non solo la corteccia uditiva, ma anche le aree associative della corteccia cerebrale sono state alterate dall’acufene. Le risposte di ansia e di stress inducono anche uno sbilanciamento del sistema orto/parasimpatico, come abbiamo visto, amplificando anche gli eventuali stimoli periferici: tensione della muscolatura cervicale, alterazioni dell’ATM, spasmi microvascolari e del muscolo tensore del timpano etc…Pure le alterazioni del sonno giocano un ruolo importante, poiché l’acufene spesso è percepito con maggiore intensità nel corso della notte: se è vero che l’acufene può disturbare il sonno, è altrettanto vero che un soggetto che ha un sonno poco profondo sarà più incline a percepire i suoni disturbanti. Il concetto di plasticità neuronale spiega brillantemente la cronicizzazione dell’acufene: ad un certo punto non solo i neuroni diventano ipereccitabili, ma anche le loro sinapsi si ramificano sempre più profondamente ed estesamente nel sistema nervoso, conducendo impulsi aberranti un po’ ovunque. Per fortuna, il fatto che le sinapsi siano modellabili gioca anche a nostro favore, poiché con opportuni interventi terapeutici, come la psicoterapia e la stessa agopuntura, possiamo ridurre l’eccitabilità del sistema nervoso e spegnere progressivamente l’incendio neuronale. In sintesi, il modello basato sul principio della centralizzazione sembra a mio avviso quello più plausibile per spiegare l’origine dell’acufene idiopatico, e tra l’altro si accorda perfettamente con quanto accade in altre condizioni patologiche come il dolore cronico. Infine questo modello spiega brillantemente il razionale d’impiego dell’agopuntura, aiutandoci a selezionare i pazienti che più degli altri possono giovarne.

L’AGUPUNTURA COME CURA DEGLI ACUFENI

L’agopuntura – se inserita in un contesto di integrazione con altre discipline – può essere di aiuto in qualunque tipo di acufene. Tuttavia, le condizioni in cui può giocare un ruolo di primo piano sono quelle in cui si evidenziano risposte di ansia e di stress molto accentuate: come abbiamo visto, sono soprattutto questi i fattori che maggiormente contribuiscono al fenomeno della centralizzazione dell’acufene. La tempistica di risposta è strettamente dipendente dall’età del paziente, dal grado di cronicità del disturbo, e dalla sua severità. In particolare, l’agopuntura esercita importanti effetti di regolazione del sistema nervoso centrale, riequilibrando la comunicazione tra i due emisferi, il funzionamento dei neurotrasmettitori e l’attività del sistema nervoso autonomo (incrementando l’attività calmante del sistema parasimpatico e riducendo quella eccitatoria del sistema simpatico): le risposte di stress e di ansia, nonché il ritmo sonno-veglia, possono così essere favorevolmente modulati da questa terapia naturale. A tal riguardo, le neuroscienze hanno perfino dimostrato che l’agopuntura è capace di favorire la formazione di nuove sinapsi inducendo la formazione di un fattore neurotrofico chiamato BDNF. L’agopuntura esercita poi un importante effetto miorilassante sulla muscolatura cervicale e masticatoria, attenuando le disfunzioni cranio-cervico-mandibolari. Molto interessante è anche la sua capacità di rilassare il muscolo tensore del timpano, riducendone gli spasmi. Attraverso al sua azione sul sistema nervoso autonomo, l’agopuntura può infine agire favorevolmente sui piccoli vasi dell’apparato uditivo, migliorandone il flusso.

Concludendo, l’agopuntura agisce su tutti i meccanismi implicati nell’insorgenza e nella cronicizzazione dell’acufene, tanto su quelli periferici, quanto su quelli centrali, dimostrando la sua validità principalmente quando sono attivate le risposte di ansia e di stress.

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Vertigini e disequilibrio: terapia con agopuntura a Torino

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L’agopuntura nelle vertigini e nel disequilibrio

Vertigini o disequilibrio? Questa è la prima domanda a cui un medico deve rispondere prima di instaurare qualsiasi trattamento. Questa è stata negli anni la mia stella polare, a partire dalla mia pratica come Medico di Medicina Generale, molto tempo prima di diventare agopuntore a tempo pieno. Attraverso un’accurata anamnesi e test clinici mirati possiamo effettuare una distinzione abbastanza netta tra le due condizioni: se appuriamo una vera vertigine, è doveroso l’invio ad uno specialista otorinolaringoiatra esperto in vestibologia, mentre in caso di disequilibrio potremmo occuparcene in prima persona, in qualità di agopuntori.

Come si distingue una vertigine vera da un disequilibrio

La vertigine può essere definita come un’erronea percezione di movimento: in pratica, il nostro corpo o l’ambiente circostante sembrano muoversi anche quando in realtà sono fermi, configurando nel primo caso una vertigine soggettiva e nel secondo caso una vertigine oggettiva. Nella vertigine “vera” esistono poi altri segni e sintomi peculiari, che nel loro insieme vengono definiti sindrome vestibolare. Tale sindrome è invece assente – o se presente si esprime in forma quasi impercettibile – nel disequilibrio.

Sistema vestibolare e sindrome vestibolare

Il sistema vestibolare è quella parte del sistema nervosa deputata al controllo dell’equilibrio. Tale sistema si basa sull’esistenza dei recettori vestibolari situati nell’orecchio interno: si tratta di speciali antenne che registrano la posizione assunta dal nostro corpo nello spazio, convertendola in un segnale elettrico che viene trasportato all’interno del sistema nervoso attraverso il nervo vestibolare. Le informazioni provenienti dai recettori vestibolari si integrano con quelle provenienti dal cervelletto: anche questa struttura concorre infatti al mantenimento di un corretto equilibrio. Le informazioni vengono infine elaborate in forma definitiva nel sistema nervoso centrale.  Il danno di una qualsiasi delle strutture che compongono il sistema vestibolare si traduce in una sindrome vestibolare. In primo luogo abbiamo quindi una vertigine, che generalmente è di tipo oggettivo quando il danno è periferico (recettori o nervo vestibolare) oppure di tipo soggettivo se il danno è a carico del sistema nervoso centrale. Oltre alla vertigine, osserviamo tipicamente la presenza di particolari movimenti oculari che vengono designati con il termine nistagmo, spontanei oppure evocati da particolari posizioni del capo. Il medico può anche evocare il nistagmo chiedendo al paziente di seguire il movimento di un dito o di una penna, mantenendo il capo immobile. Il test di Romberg è un esame clinico semplice ma di fondamentale valore, consistente nel far assumere al soggetto la postura eretta, con le gambe e i piedi ravvicinati e le braccia tese in avanti, formanti cioè con il tronco un angolo di novanta gradi, prima ad occhi aperti e successivamente ad occhi chiusi: in caso di sindrome vestibolare, si osserveranno oscillazioni del corpo più o meno marcate e il soggetto tenderà infine a cadere verso un lato. Il test di Romberg sensibilizzato è simile al precedente, ma in questo caso i piedi non sono uniti, ma si trovano l’uno davanti all’altro, con il tallone di un piede posto davanti all’alluce dell’altro piede. Sovente, nella sindrome vestibolare, si verifica pure una deviazione segmentaria tonica degli arti, più evidente ad occhi chiusi: ad esempio, chiedendo al paziente di allungare gli arti superiori, si osserva una progressiva deviazione verso destra o verso sinistra. Sempre ad occhi chiusi, si può ancora riscontrare un tipico cammino a stella, dovuto al fatto che, ad ogni passo, il soggetto devia bruscamente verso destra o verso sinistra. Un altro test utile per la diagnosi di sindrome vestibolare,  ampiamente noto, è quello indice-naso, in cui si chiede al soggetto di toccarsi – ad occhi chiusi – la punta del naso con l’indice della mano. Rientra infine nella sindrome vestibolare la presenza di nausea e sudorazione, dovuti ad una sollecitazione del sistema nervoso autonomo.

Le cause più comuni di vertigine

Le cause di vertigine possono essere centinaia, ma quelle più comuni non sono poi molte. In corso di infezioni batteriche o virali, si possono ad esempio osservare le tipiche labirintiti, non difficili da riconoscere, proprio perché vi sono tanti sintomi di accompagnamento come dolore all’orecchio (otiti), riniti o sinusiti, mal di gola, tosse e spossatezza. Una condizione frequente, che può colpire anche soggetti giovani, è la cosiddetta vertigine posizionale parossistica benigna – detta anche cupolilitiasi – scatenata da particolari cambiamenti di posizioni, e legata alla presenza di micro-concrezioni (in altri termini piccoli calcoli) nell’orecchio interno. Un condizione piuttosto grave è la sindrome di Menière, causata da un incremento della pressione dei liquidi all’interno dei labirinti. Altre rare condizioni sono poi le infiammazioni del nervo vestibolare – denominate neuriti – oppure alterazioni di varia natura del sistema nervoso centrale, di tipo vascolare, degenerativo o tumorale. Non di rado alcuni farmaci si rivelano tossici per il sistema vestibolare, potendo quindi causare vertigini. Non va infine dimenticato che le vertigini possono verificarsi anche nella fase immediatamente antecedente una crisi di emicrania, fase che viene denominata aura. In presenza di una vertigine vera, il medico invia il paziente ad uno specialista otorinolaringoiatra, che effettuerà prima di tutto un esame approfondito del sistema vestibolare attraverso le cosiddette prove vestibolari, oltre ad un esame audiometrico per verificare la corretta integrità dell’apparato uditivo. In caso di dubbio diagnostico, lo specialista prescriverà anche eventuali esami di imaging, come la Risonanza Magnetica Nucleare per escludere lesioni a livello del nervo vestibolare o del sistema nervoso centrale. Attraverso opportune manovre liberatorie, l’otorinolaringoiatra è anche in rado di far regredire in poco tempo una vertigine, soprattutto se l’intervento è precoce.

Che cos’è il disequilibrio

Dopo aver visto come si manifesta la vertigine vera, quali sono le cause più comuni e come si diagnostica, analizziamo ora invece cos’è il disequilibrio. Va subito detto che la maggior parte di quelle che il paziente descrive come vertigini sono in realtà delle “false vertigini”, trattandosi appunto di disequilibrio. Il termine instabilità – per quanto meno appropriato dal punto di vista medico – è spesso compreso meglio dal paziente, e sembra essere più calzante e più coerente con la sensazione soggettiva che ci riferisce. Non vi è infatti la percezione erronea di movimento del proprio corpo o dell’ambiente circostante, bensì una sensazione di difficoltà a mantenere un equilibrio stabile, generalmente più evidente ad occhi chiusi. Di solito la sindrome vestibolare è assente o impercettibile, con lievi oscillazioni del corpo ad occhi chiusi: il quadro è parafisiologico, nel senso che più che un danno organico esiste un malfunzionamento del sistema vestibolare. Il compito del sistema vestibolare è infatti quello di valutare, momento per momento, la posizione del corpo nello spazio, elaborando gli impulsi provenienti dai recettori di posizione. Oltre ai recettori posizionati nell’orecchio interno, che abbiamo sopra descritto, esistono altri recettori che informano prontamente il cervello sulla posizione assunta dal corpo. Innanzitutto quelli visivi, poi quelli dei tendini e dei muscoli – chiamati propriocettori – ed infine quelli posti nella pianta del piede, che ci informano sulle caratteristiche del terreno influenzando quindi la deambulazione. I segnali provenienti dai recettori periferici devono essere coerenti tra loro, e chi stabilisce la loro congruità è il sistema nervoso centrale, che li integra in una visione d’insieme. In altri termini il cervello è il “direttore d’orchestra”, oppure la centralina di comando se vogliamo, che elabora i segnali in entrata e restituisce dei feedback che servono a regolare la posizione del corpo nello spazio. Quando uno dei recettori non funziona adeguatamente, si genera un conflitto tra le informazioni che vengono trasmesse al sistema nervoso centrale, producendo uno stato di confusione: l’elaborazione centrale risulterà quindi difettosa, traducendosi in una difficoltà a regolare l’equilibrio. Oltre che per un difetto di informazione che parte dalla periferia, tale elaborazione può anche essere carente quando il sistema nervoso centrale è in uno stato di sofferenza, ad esempio qualora esistano problemi di microcircolazione cerebrale: non è un caso, che molti anziani soffrano di disequilibrio. Il disequilibrio può derivare poi da una condizione mista, in cui esiste un deficit periferico ed uno centrale.

L’agopuntura è una terapia efficace del disequilibrio

Quando mi viene chiesto come funzioni l’agopuntura, una delle mie risposte più frequenti è: “perché favorisce l’equilibrio psico-fisico dell’organismo”. Favorire l’equilibrio è il compito principale dell’agopuntura, attraverso innumerevoli azioni che si esplicano tanto a livello periferico – migliorando la funzione dei recettori posturali – quanto a livello centrale potenziando l’integrazione delle informazioni che da essi provengono. Ad esempio, una delle cause più comuni del disequilibrio è la disfunzione del rachide cervicale, per processi di artrosi o tensioni di natura posturale ed emotiva. Quanto il rachide cervicale sia importante nel mantenimento dell’equilibrio lo vediamo in maniera eclatante nel mondo animale ed in particolare nel gatto: se lo lasciamo cadere dall’alto in posizione capovolta (con la pancia in su per intenderci) egli è in grado di riassumere la corretta posizione e di atterrare perfettamente sulla quattro zampe proprio sfruttando i recettori posturali del collo. E’ infatti a partire dal collo che parte il ri-allineamento dell’intero corpo, che può così completarsi in pochissimo tempo. Le problematiche del collo sono estremamente frequenti, tanto nel giovane – spesso per un errato utilizzo del videoterminale o dello smartphone, unitamente a posture scorrette e a tensioni emotive che si scaricano sulla muscolatura cervicale – quanto nell’anziano, dove è frequente l’artrosi. Ebbene, l’agopuntura esercita sul collo innumerevoli effetti benefici, in primis quello miorilassante e decontratturante, oltre a quello antinfiammatorio e antalgico: il tutto si traduce in un miglioramento dell’efficienza dei suoi propriocettori. L’agopuntura esercita poi una potente azione ansiolitica e anti-stress, che concorre al rilassamento della muscolatura cervicale. Oltre che sul collo, l’agopuntura sembra esercitare un’azione posturale generale su tutti i distretti corporei, migliorando quindi la coerenza delle informazioni provenienti dalla periferia. Persino il recettore visivo può beneficiare dell’agopuntura, come documentato da recenti studi scientifici. Ma soprattutto l’agopuntura influenza l’integrazione dei segnali a livello del sistema nervoso centrale, potenziando la comunicazione tra i due emisferi cerebrali, migliorando la capacità di dialogo delle varie strutture del cervello, e addirittura promuovendo la formazione di nuove sinapsi attraverso il rilascio di un fattore neurotrofico chiamato BDNF. Per queste ed altre ragioni che ancora ci sfuggono, l’agopuntura può essere di grande aiuto nel disequilibrio di qualunque origine, come terapia di elezione. Tuttavia anche nel caso di una vertigine vera l’agopuntura può essere utile, attenuando i sintomi, andandosi però in questo caso ad integrare con le opportune manovre e terapie prescritte dallo specialista.

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Tiroide e agopuntura: una cura naturale a Torino

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TIROIDE: E’ VERO CHE L’AGOPUNTURA PUO’ ESSERE UTILE?

Nei consueti percorsi di diagnosi e cura della tiroide, non viene quasi mai contemplata la possibilità di curare le relative patologie in modo naturale, ad esempio con l’agopuntura. Ancora oggi si crede che questa terapia sia “esoterica”, ed in quanto tale ingiustificata e non provata dal punto di vista scientifico. Le cose non stanno esattamente così, poiché questa straordinaria terapia – che ha già dimostrato la sua validità scientifica in svariati ambiti come la cefalea e l’emicrania, la nausea etc…ricevendo consensi dai principali enti scientifici come il WHO, l’OMS e il NIH – può essere utile anche in ambito endocrinologico per curare la tiroide. Certo chi se ne occupa deve sapere quello che fa, e deve spesso integrare questi trattamenti non convenzionali con le terapie usuali. L’agopuntura nella cura della tiroide ha basi solide, tra cui la capacità di modulare il sistema immunitario, ed è per questo che può essere utile, soprattutto se usata al primo insorgere delle patologie, quando la funzionalità della tiroide non è ancora compromessa in modo grave e irreversibile.

LE NUMEROSE FUNZIONI DELLA TIROIDE

La tiroide svolge il ruolo di “regina” nell’ambito del funzionamento ormonale, regolando praticamente tutte le funzioni del nostro organismo. Quasi tutte le cellule del corpo umano sono influenzate dagli ormoni prodotti da questa ghiandola: nello specifico, gli ormoni tiroidei sono la triiodotironina (T3) e la tetraiodotironina (T4). La corretta produzione di T3 e T4 da parte della tiroide dipende a sua volta da un ormone prodotto da un’altra ghiandola, l’ipofisi, e chiamato per l’appunto ormone tireostimolante (TSH). Esiste un equilibrio tra tutti questi ormoni, tale per cui quando i livelli di T3 e T4 si riducono – come nell’ipotiroidismo – l’ipofisi incrementa il rilascio di TSH per cercare di stimolare la tiroide “impigrita”, mentre in caso di aumento dell’attività tiroidea – condizione nota come ipertiroidismo – l’ipofisi riduce la produzione di TSH, poiché la tiroide è già iperattiva. Le funzioni della tiroide sono innumerevoli, ma possiamo così sintetizzarle:

Regolazione del metabolismo e della temperatura corporea

La tiroide stimola tutte le funzioni degli organi e la produzione di calore, accelerando il metabolismo e potenziando l’azione delle catecolamine.

Azione sul sistema nervoso

La tiroide stimola le funzioni cognitive, la vigilanza e l’adattamento alle condizioni di stress. A questo proposito, gli ormoni tiroidei sono importanti neuromodulatori nel sistema nervoso centrale

Promozione della crescita dell’individuo

Un corretto funzionamento della tiroide è essenziale per la maturazione degli organi ed in particolare per quella del sistema nervoso, per cui una condizione di ipotiroidismo fetale e neonatale, se non corretta, può indurre deficit cognitivi importanti (cretinismo infantile).

LE ALTERAZIONI DELLA TIROIDE

I motivi per cui una tiroide può sviluppare un malfunzionamento possono essere svariati, ma due sono particolarmente rilevanti: la carenza di iodio e i processi autoimmunitari. Rispetto al primo fattore, oggi tale carenza è molto più rara che in passato, e i casi di gozzo endemico sono anch’essi sporadici: resta tuttavia il fatto che per una salute ottimale della tiroide è essenziale un’introduzione regolare ed equilibrata di prodotti contenenti iodio, che vanno dall’acqua ai prodotti ittici. Anche il selenio è un oligoelemento essenziale per la salute della tiroide. Le patologie autoimmunitarie della tiroide sono invece estremamente frequenti: si pensi che la malattia nota come tiroidite di Hashimoto colpisce tra il 5 e il 15% delle donne. Questa malattia è dovuta ad una ribellione del sistema immunitario, che riconosce come estranei i tessuti tiroidei, aggredendoli: si parla infatti di tiroidite linfocitaria, poiché nel tessuto ghiandolare si concentrano le cellule del sistema immunitario, in particolare i linfociti. Un altro elemento fondamentale di questa patologia è la formazione di anticorpi diretti contro la tiroide, ed in particolare contro la tiroeoperossidasi (Ab anti TPO) e contro la tireoglobulina (Ab anti TG). Come esito dell’infiammazione tiroidea si osserva una lenta e progressiva riduzione della funzionalità tiroidea: in una prima fase il TSH aumenta, in modo da conservare una produzione accettabile degli ormoni tiroidei, solo in un secondo tempo – e non in tutti i pazienti – si osserverà un franco quadro di ipotiroidismo con una significativa riduzione dei livelli di T3 e di T4 , che necessita di un trattamento sostitutivo con ormone sintetico (solitamente levo-tiroxina *Eutirox). Nonostante i valori di T3 e T4 possano essere per molto tempo normali, anche per tutta la vita, sin dai suoi esordi la tiroidite di Hashimoto induce sintomi fastidiosi, talvolta invalidanti, poiché gli ormoni tiroidei non riescono ad agire come dovrebbero: i principali di essi sono la stanchezza e la freddolosità alle mani e ai piedi, per l’incapacità del corpo di produrre energia e riscaldarsi.

IPOTIROIDISMO SUBCLINICO: TERAPIE CONVENZIONALI E AGOPUNTURA 

Proprio perché la funzionalità tiroidea è ridotta ma “compensata” da un incremento del TSH, e i sintomi avvertiti dal soggetto possono essere poco rilevanti, almeno in un primo tempo, si parla di ipotiroidismo “subclinico”. Non esiste nella comunità scientifica un accordo unanime su quando iniziare un trattamento “sostitutivo” con l’ormone sintetico. In passato si è cercato di stabilire un livello di TSH oltre il quale fosse indispensabile tale trattamento, mentre oggi si dà più importanza ai sintomi: se il soggetto lamenta sintomi disturbanti, è utile iniziare il trattamento, partendo ovviamento da bassi dosaggi (di solito 25 microgrammi), poiché la levo-tiroxina è comunque un farmaco e può indurre effetti collaterali come sudorazione, tachicardia, tremori, insonnia, ansia etc… La terapia sostitutiva può però essere gravata da uno svantaggio: può richiedere nel tempo un incremento del dosaggio, che “impigrisce” sempre di più il funzionamento “spontaneo” della tiroide, in virtù del fatto che l’ormone somministrato riduce i livelli di TSH. Nel tempo può cioè venire a mancare il fattore principale “naturale” che stimola la ghiandola tiroidea . Di qui l’estremo interesse, da parte non solo di chi si occupa di terapie “non convenzionali”, ma anche di medici endocrinologi, a contemplare approcci diversi, come ad esempio la somministrazione di Selenio che, al dosaggio di 150-300 microgrammi al giorno, può essere in grado di ridurre gli anticorpi anti TPO e TG, nonché i livelli di TSH. Si pensi che non necessariamente bisogna introdurre un integratore a base di Sali di selenio, ma potrebbero essere sufficienti 3-4 noci del Brasile al giorno, che sono ricchissime di questo oligoelemento. Per chi scrive, è invece affascinante l’idea di trattare l’ipotiroidismo subclinico con l’agopuntura e la moxibustione, antichissime terapie della Medicina Tradizionale Cinese. Perché queste terapie possono essere utili? Come agiscono sul corpo umano e sulla tiroide? Ci sono evidenze scientifiche?

AGOPUNTURA E TIROIDE

Per approcciare le patologie della tiroide con l’agopuntura un medico – si ricorda che in Italia solo i medici possono esercitare l’agopuntura – deve conoscere molto bene sia l’endocrinologia (cioè la disciplina medica ufficiale che studia gli ormoni) sia la Medicina Tradizionale Cinese. Quest’ultima effettua una diagnosi ed una terapia personalizzata, basata su varie metodiche tra le quali è imprescindibile l’esame del polso e della lingua. Sebbene i quadri sottostanti un ipotiroidismo subclinico possano essere molti, per lo più essi sono dovuti ad un deficit di YangQi del Rene: significa che l’organo Rene, da cui dipende il funzionamento di tutto l’organismo, è indebolito, soprattutto nella sua funzione di produrre il qi (l’energia vitale) e lo Yang (il calore). Esiste poi una stretta interdipendenza tra il Rene e il Cuore, dove è alloggiata la Mente Cosciente chiamata Shen: un deficit di Yang del Rene comporta pertanto un indebolimento dello Shen, da cui astenia, apatia, sonnolenza etc…Scopo del trattamento è quindi rinforzare l’organo Rene, anche attraverso la somministrazione di calore in corrispondenza degli agopunti: nello specifico la metodica si chiama moxibustione, e si basa sulla combustione di una pianta essiccata chiamata “Artemisia Vulgaris” che possiede la qualità unica di rilasciare in modo graduale e profondo il calore. Che queste terapie possano essere utili lo dimostrano alcuni studi scientifici, come quello di Xia Y et al. del 2012 condotto su 42 pazienti, dove si è osservato, nel gruppo di pazienti sottoposto a moxibustione in aggiunta alla terapia con 25 microgrammi di levotiroxina, un significativo miglioramento clinico ed una maggiore riduzione del TSH rispetto a chi era stato trattato solo con i farmaci occidentali. In particolare erano stati sottoposti a moxibustione due punti – CV4 guanyuan e GV-4 mingmen – che guarda caso sono i punti più importanti per tonificare il Rene.

CURA DELLA TIROIDE: RAZIONALE DI UTILIZZO DELL’AGOPUNTURA

Ad oggi non sappiamo esattamente quali siano gli effetti dell’agopuntura sulla tiroide, ma possiamo ipotizzare alcuni meccanismi d’azione sulla base degli effetti che questa terapia ha già dimostrato in altre patologie. In primis la modulazione del sistema immunitario, in particolare a livello dei  linfociti T helper 17  da cui dipende la produzione degli autoanticorpi. L’effetto antinfiammatorio dell’agopuntura svolge anch’esso un ruolo cruciale, ben documentato dalla Letteratuta Scientifica. Vi sono poi gli effetti sul DNA dell’agopuntura, ed in particolare sui geni regolatori come i fattori di trascrizione, da cui dipende l’espressione degli altri geni. L’agopuntura svolge inoltre importanti effetti “tonici” sul sistema nervoso centrale, regolando in particolare la produzione di serotonina, alleviando importanti sintomi cognitivi quali la perdita di concentrazione e memoria, la letargia, l’apatia e l’abulia.

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